La fase 2 è cominciata e personalmente mi sento ancora più in confusione rispetto alla fase 1. La fase 1 era chiara, dovevamo stare a casa e uscire solo per motivi specifici, adesso, invece, si può fare quasi tutto quello che facevamo prima di marzo, ma dobbiamo rispettare mille regole e l'epidemia non è ancora conclusa. Per fortuna, ci sono film e serie tv che continuano a tenermi compagnia e distraggono da una quotidianità diventata davvero strana.
La serie di cui vorrei parlarvi oggi è SKAM Italia, disponibile su Netflix e composta da quattro stagioni, di cui l'ultima uscita pochissimo tempo fa. Si tratta di una serie che non avevo assolutamente intenzione di vedere per un binomio per me letale: si tratta di una serie tv italiana che parla di adolescenti di oggi, per di più ispirata a una serie tv norvegese. Non che io abbia in generale problemi sulle serie su adolescenti, anzi, ma raramente apprezzo le serie italiane. Non ne guardo praticamente nessuna e non accendo mai, ma veramente mai, la tv italiana. Poi, però, su Facebook, ho letto un post di Michela Murgia, che ha apprezzato la serie e sono rimasta incuriosita. Se è piaciuta a lei, potrà piacere anche a me, mi sono detta. E così, ho iniziato a vedere la serie durante le pause pranzo dello smartworking.
L'impatto iniziale non è stato dei migliori: la serie italiana è ambientata in un liceo romano. Tutti i protagonisti sono romani. Mi è sembrato di vivere un déjà-vu: ho avuto la vaga impressione che tutte le serie e i film nostrani che parlano di adolescenti siano ambientati a Roma. Mi sbaglio? Forse. Ai miei tempi, c'erano Come te nessuno mai e Tre metri sopra il cielo ed erano ambientati entrambi a Roma. Ricordo anche Caterina va in città, ambientato, in realtà, in una scuola media, ma comunque una scuola media di Roma... e poi ho perso un po' il filo. Forse anche Bianca come il latte, rossa come il sangue è ambientato in un liceo romano? Mi pare di sì.
Sempre all'inizio, poi, la recitazione dei protagonisti mi è sembrata un po' acerba, anche se la cosa è comprensibile e giustificabile trattandosi di attori molto giovani. Piano piano, però, ho cominciato ad abituarmi e ho deciso di andare avanti con la visione perché una puntata, tutto sommato, tirava l'altra. Il montaggio era buono, la colonna sonora calibrata e i protagonisti simpatici. Arrivata alla settima puntata, però, l'orrore: alcune ragazze, inclusa la protagonista, si picchiavano per un ragazzo, cosa che proprio, ma proprio mai ho sopportato. E mi sono domandata: ma perché a Michela Murgia è piaciuta questa serie????
Mancando poche puntate alla fine della stagione e sempre domandandomi il perché di tanto successo, ho deciso di concludere la visione. E forse ho capito perché a Michela Murgia e a tanti altri è piaciuta, o forse più semplicemente ho capito perché, nonostante tutto, stava piacendo a me. Il finale misurato, pacato, con una presa di coscienza significativa e matura da parte della protagonista Eva e delle sue "antagoniste" in amore, che non trovi praticamente mai in un film o in una serie, mi ha lasciato di stucco. E così in tutte le pause da lavoro ho divorato le tre restanti stagioni, ognuna delle quali dedicata a un differente protagonista.
La seconda stagione è stata la mia preferita: che dire? Il personaggio di Martino, un ragazzo omosessuale che si innamora per la prima volta e deve imparare ad accettare se stesso, mi ha letteralmente conquistata. La sua fragilità, il suo punto di vista, il suo rapporto con gli amici e con il suo primo amore, la svolta imprevista che ha la sua storia lasciano veramente incantati (per la cronaca, dovrebbero vedere questa stagione a ripetizione tutti gli omofobi del mondo).
La terza stagione è bella, forse più banale, ma come nel caso della prima stagione, ha un finale maturo e lodevole. Ancora una volta, non ci sono mai toni esagerati, urla, strepiti: tutto viene affrontato attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, con una maturità spiazzante, ma vicina alla vita reale o a quella che vorremmo fosse tale.
Della quarta stagione in rete si è parlato molto poiché è uscita negli stessi giorni del rientro di Silvia Romano: la protagonista, infatti, è Sana, una ragazza italiana musulmana che indossa l'hijab con convinzione e deve scontrarsi con i pregiudizi delle persone intorno a lei che non comprendono le sue scelte religiose. Personalmente, non ho capito tanto cosa c'entrasse la sua storia con quella di Silvia Romano, ma, si sa, siamo in Italia e se due donne (tra l'altro, una realmente esistita e una di finzione) portano il velo, necessariamente devono essere accomunate. Che tristezza. A parte questo, man mano che andavo avanti nella visione, ciò di cui mi sono resa conto è che il personaggio in cui io sono portata a riconoscermi è stato proprio quello di Sana, sebbene io non sia musulmana né religiosa in alcun modo. Della adolescente Sana, infatti, non ho recepito tanto la sua religiosità o la sua moralità, che sono evidenti sin dall'inizio della prima stagione e su cui quindi non c'è tanto bisogno di calcare la mano, bensì quella sensazione di sentirsi diversa dalle altre ragazze e che anche io provavo, non so dire se a torto o a ragione, nei miei anni di liceo, la sensazione di sentirsi spesso fuori posto e di non trovare nessuno che ci capisca o la pensi come noi, il che ci induce ad isolarci e a rifugiarci altrove. Io mi rifugiavo nella letteratura e nel cinema, Sana nella religione.
Forse questo stato è il regalo più bello che mi ha fatto SKAM: mostrare il punto di vista di qualcuno a cui non viene mai data voce e trasformarlo in un racconto universale, facendoci capire che, nonostante chi preghiamo o amiamo o come ci vestiamo, quel qualcuno che è apparentemente tanto diverso da noi in realtà è molto più simile di quanto mai potessimo credere: e questa è una gran bella sensazione.
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