Recensione di Alessandra Muroni pubblicata su Director's Cult
Titolo originale: My Own Private Idaho.
Paese: U.S.A.
Anno: 1991
Anno: 1991
Durata: 100 min.
Genere: drammatico
Soggetto: Enrico IV - parte prima di William Shakespeare
Sceneggiatura: Gus Van Sant
Cast: River Phoenix, Keanu Reeves, James Russo, Chiara Caselli
Seattle. Mike Waters (River Phoenix) è un giovane alla ricerca della
madre, e per sopravvivere si prostituisce. Soffre di una grave forma di
narcolessia, che si manifesta soprattutto in momenti di forte stress
emotivo.
Durante un'incontro con una donna, conosce Scott Favor (Keanu Reeves),
figlio del sindaco di Portland, in rotta con la famiglia. Scott
intraprende un viaggio con Mike alla ricerca di sua madre, viaggio che
lo porterà in Idaho, dal fratello di lui (James Russo), finendo per
vivere in una comunità di tossici guidati da Bob (William Richert). Mike
scopre che sua madre si è traferita a Roma e decide di partire con
Scott. Innamoratosi di una ragazza italiana, Carmela (Chiara Caselli),
Scott ritornerà a casa, lasciando Mike solo nella sua ricerca.
C'è un non so che di affascinante nell'esistenza di Mike Waters. Reietto
della società, abbandonato dalla madre quando era piccolo per poi
sparire nel nulla, Mike sa solo usare il suo corpo per sopravvivere,
alla mercé di uomini che non corrispondono a canoni sociali ben
definiti.
Eppure, c'è qualcosa di poetico in lui. Quel suo candore intatto, per
nulla scalfito dalle brutture della vita, dalla violazione autorizzata
del suo essere, viene alimentato con il suo "Idaho personale" un luogo
immacolato, con le nuvole che viaggiano e con quell'abbraccio materno
che non esiste più e forse non è mai esistito.
Ed è proprio la strada, i viaggi, Seattle, Portland, Idaho e Roma,
diventano gli scenari di un percorso che li porterà a vagabondare in un
universo fatto di emarginati, giovani capitanati da Bob, il padre
spirituale della perdizione di Scott.
Il grigiore di Seattle, con le sue luci e i suoi sexy shop, vengono
spazzati via in un momento di sonno profondo per dare spazio alle nuvole
mobili dell’Idaho, con il suo splendido cielo blu e la strada deserta
che può portare in qualsiasi direzione. E in quella strada Mike sogna di
essere tra le braccia di sua madre, donna misteriosa che riemerge solo
in forma di ricordi, di sogno.
Mike cerca disperatamente quel calore umano, portato via dal vento
freddo di una giornata uggiosa di Seattle, lo cerca in un contatto rude e
fugace con il cliente di turno, lo cerca nei quartieri alti di
Portland, con le sue villette e i suoi viali colmi di foglie secche. E
in quel di Portland trova Scott il ribelle, giovane rampollo
insofferente alle regoli sociali.
La versione contemporanea dell'Enrico IV shakespeariano a differenza di
Mike ripudia la sua famiglia, odiando quel padre capitalista che pensa
solo al denaro. Gli agi e le convenzioni borghesi lo soffocano, e cerca
di distruggere le convenzioni provocando scandali e vivendo per strada.
Scott rifiuta il padre e trova in Bob un nuovo padre putativo, Mike
cerca disperatamente le sue radici e viene adottato da questa famiglia
di sbandati, gruppo di freaks che vivono di espedienti. Entrambi usano
il proprio corpo, per soldi (Scott), per sopravvivere e cercare un
contatto fisico e umano (Mike), entrambi sono alla ricerca di loro
stessi.
L’Idaho non è solo nella mente di Mike, ma è anche lo Stato dove vive il
fratello Richard, pittore dalla vita tormentata che gli svelerà segreti
nascotsi e scheletri dell’armadio, portando Mike a prendere un aereo
per Roma, la capitale italiana dove dovrebbe vivere la madre.
Mike la cerca, Mike non la trova, finendo per perdere anche Scott, che, in nome dell’amore per Carmela ritorna a casa.
Il cerchio si chiude, ritornano a Portland, ognuno per la propria strada.
Belli e dannati è uno dei più bei film di Gus Van Sant. La pellicola è
modellata sull'Enrico IV di William Shakespare, ma trasuda di cultura
beat anni Cinquanta che resero celebri Jack Kerouack e Allen Ginsberg,
mixata con la grunge generation, che ha il cuore pulsante proprio a
Seattle, dove iniziano le avventure di Mike Waters.
In un circo di giovani disadattati, Mike trova la sua famiglia che gli è
stata negata, anche se sono tossicodipendenti e vivono di espedienti.
Van Sant riesce a immergere queste persone che per la società sono dei
disperati, e li rappresenta in tutta la loro folle vitalità,
caratteristiche di cui sono privi i borghesi, soffcati in una fitta
coltre di snob. Disprezzati da quei borghesi che riversano su di loro
ogni perversione, imprigionati nella loro ipocrisia.
E se i ricchi vedono i poveri con ribrezzo, i reietti di Van Sant hanno
un cuore che pulsa sotto i vestiti dimessi, le occhiaie delle notti
passate in bianco a fare bagordi, con un’umanità e una filosofia di vita
che ormai è schiacciata dall’omologazione della società.
Tale elemento viene sottolineato nella scena del doppio funerale, del
padre di Scott e di Bob: così composto, serioso il primo; così
appariscente, con quel dolore urlato sinceramente, creando una litania
che al giovane Scott risulta fastidioso, ma che Van Sant trasforma in
una ballata straziante.
Gus Van Sant con Belli e dannati, firma un manifesto poetico dei looser,
incarnati in maniera sublime da River Phoenix, dolente e sognatore e
Keanu Reeves nella sua sfrontata ribellione.
Due anime perse immerse in posti, situazioni, viaggi, percorsi formativi
e non, in quei luoghi, con quella landa desolata e deserta, con quel
meraviglioso Idaho dove il nulla porta pur sempre da qualche parte.
Mike nel suo Idaho privato, in preda al sonno viene derubato. C’è
crudeltà nel mondo. Mike che nel suo sonno viene soccorso e portato al
riparo chissà dove. C’è ancora speranza per questo mondo.
Voto: 8
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