Recensione pubblicata su Cinema Bendato
Titolo
originale: Secret beyond the door
Paese:
U.S.A.
Anno:
1947
Regia:
Fritz Lang
Genere:
Noir
Durata:
99 min.
Cast:
J. Bennet (Celia Lamphere), M. Redgrave (Mark Lamphere), A. Revere
(Caroline Lamphere), B. O’ Neil (Miss Robey), N. Schafer (E.
Potter), P. Cavanagh (Rick Barrett), R. Rey (Paquita), J. Seay (B.
Dwight), M. Dennis (David).
Sceneggiatura:
S. Richards
Trama:
Durante una vacanza in Messico, la giovane Celia si innamora a prima
vista di Mark, affascinante architetto. I due si sposano e vanno a
vivere nella residenza di lui. Una volta giunta nella nuova dimora,
Celia scopre un bizzarro quanto inquietante passatempo del marito:
collezionare camere in cui sono avvenuti omicidi famosi.
“Il
modo in cui una casa è fatta determina ciò che accade in essa”:
questa frase, pronunciata dal protagonista maschile Mark all’inizio
di Dietro
la porta chiusa,
può valere anche per l’intero film costruito da Fritz
Lang,
noir onirico e pieno di allegorie, che sin dal principio si
contraddistingue per un’ambientazione inquietante e soffocante.
La
protagonista Celia, giovane e piena di vita, sposata ad un uomo che
non conosce, inserita in un ambiente parimenti sconosciuto abitato da
strane figure, si ritrova costretta ad indagare nel passato del
marito per salvare il suo matrimonio.
Se,
da un lato, il film è, dunque, strutturato come un giallo classico
con Celia nei panni di un investigatore, che cerca di rivelare ciò
si nasconde nella stanza n. 7, chiusa a chiave dal marito,
dall’altro, i risvolti attraverso i quali lo spettatore viene
condotto sono indagati con il metodo psicoanalitico. Celia tenta,
infatti, di scoprire quale evento nel passato del marito lo abbia
reso così vulnerabile. La stanza n. 7 diventa, in questo modo, non
soltanto il luogo del futuro delitto, ma anche il luogo nel quale
Mark ha chiuso a chiave un evento che si è affrettato a dimenticare,
ma che ciononostante ha influenzato tutta la sua vita: ed è proprio
tornando nella stanza n. 7, in quello spazio della mente dimenticato,
che lui sarà in grado di affrontare i fantasmi del passato al fine
di rimuoverli e cancellarli. Da solo, però, non avrebbe potuto
portare a compimento una simile impresa, ma è grazie a Celia che può
correggere la piega da serial killer che la sua vita stava prendendo;
in questo senso, Celia è, da un lato, una moglie devota, un angelo
del focolare, disposta a farsi uccidere pur di non abbandonare il
marito; dall’altro, però, è anche il medico premuroso che aiuta
il paziente a superare la malattia attraverso il dialogo e la
reviviscenza degli eventi rimossi.
Se
Dietro
la porta chiusa
non è di certo il primo film di Fritz Lang influenzato dalla
psicoanalisi, certamente non così tanti film fanno riferimento in
maniera così esplicita alla teoria dell’incoscio elaborata da
Sigmund Freud.
Straordinari
i due protagonisti, Joan
Bennet
e Michael
Redgrave:
la prima nei panni di una donna indipendente, sedotta dall’amore,
dotata di coraggio e pazienza; il secondo nei panni di un uomo colto,
ma frustrato; che crede di non aver mai vissuto, oscurato dalle donne
della sua vita, capace di trasformarsi da uomo dolce a uomo spietato
in un battito di ciglia.
Voto: 8+
Un ottimo film e un regista che andrebbe sicuramente approfondito, ne ho apprezzato praticamente tutto quel che ho visto (non molto purtroppo).
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