Il 31 gennaio è uscito nelle librerie, edito da Garzanti, Così giovane e già così moderato, un romanzo scritto a quattro mani da due giovani scrittori esordienti, Roberto Lucarella e Ludovico G. Rossi, entrambi neolaureati all’Università di Bologna.
Raccontato in prima persona da Andrea, studente universitario fuorisede, entrato per caso in un’associazione studentesca, il romanzo descrive i meccanismi di selezione della classe dirigente attraverso i quali i partiti italiani operano.
Sebbene il romanzo non citi mai né il nome del partito, né il luogo in cui la trama si svolge, un lettore attento può ben capire che il partito descritto nel romanzo è il Partito Democratico.
Incontro Ludovico e Roberto in un bar a Bologna, un paio di settimane dopo la pubblicazione del romanzo.
Sono entrambi molto emozionati per i riscontri positivi che il libro sta avendo in tutta Italia.
«Ci hanno scritto diverse persone che si sono riconosciute nei personaggi e nella storia. È meraviglioso», mi dicono.
Come è nata l’idea di questo libro?
L: È nata un po’ per caso. Era un periodo molto difficile per la nostra esperienza politica, ci trovavamo durante il passaggio dall’associazione studentesca al partito di riferimento collaterale. Eravamo stati talmente coinvolti da dover tentare di spiegare quella esperienza a chi non l’aveva vissuta. Quindi ci è venuta in mente l’idea di scrivere un libro in cui provare a raccontare quello che ci stava succedendo. In realtà, la trama del romanzo è venuta in una fase molto avanzata dell’opera, all’inizio si trattava di una serie di episodi che avevamo realmente vissuto e ricostruito, fondati su un protagonista che non aveva nome e che parlava in prima persona, perché eravamo noi.
R: Provenivamo da un’esperienza molto forte. Eravamo psicologicamente devastati e avevamo l’esigenza di esorcizzare quello che ci era successo. La prima parte del romanzo è nata un po’ di getto, era un modo per ricreare la nostra esperienza; in un secondo momento abbiamo pensato che potessimo provare a condividerla. L’intento era semplicemente quello di provare a raccontare il modo in cui un ragazzo di venti anni si trova a fare politica oggi in Italia.
Come è stato scrivere a quattro mani?
R: È stata una bella esperienza. All’inizio, io scrivevo la prima bozza di capitolo, poi Ludovico la riprendeva e la stravolgeva. Magari io ero più bravo a raccontare l’aneddoto, mentre lui era più bravo nell’approfondire l’evoluzione dei pensieri e dei personaggi. Abbiamo lavorato in maniera autonoma, ci sentivamo continuamente, ma non è stato tutto rose e fiori. Il libro è frutto di quasi un anno e mezzo di lavoro. È stato molto lento, ma anche molto travagliato.
L: Abbiamo diviso il lavoro un po’ casualmente. Ognuno scriveva, poi l’altro ci riscriveva sopra. Siamo andati avanti con questo sistema per molto tempo. Nell’ultima fase, abbiamo cominciato a scrivere in modo più mirato, riuscendo ad arrivare ad una divisione dei ruoli. Ci vuole più preparazione di quella che avevamo noi, noi ci siamo un po’ improvvisati. Abbiamo messo insieme qualità che ognuno di noi non aveva.
Come hanno fatto due ragazzi giovani come voi a trovare un editore disposto a pubblicarli?
L: Abbiamo cominciato in maniera classica, mandando alle varie case editrici un manoscritto con una sinossi. Dopo qualche settimana, capendo che non avremmo mai avuto una risposta, abbiamo contattato tutte le persone che avevamo conosciuto nel corso degli anni di associazionismo studentesco e abbiamo avuto la fortuna di riuscire contattare la Garzanti, mandando una mail a Gherardo Colombo, presidente della Garzanti, che ha letto il libro e gli è piaciuto.
R: Abbiamo ricevuto tantissime mail di incoraggiamento, ma dopo tanto non avevamo ancora trovato nessuno. Gherardo Colombo è stata la chiava di volta, e infatti lo abbiamo inserito nei ringraziamenti finali del romanzo perché ha scommesso in prima persona sul libro. Ci vuole tanta fortuna, ma anche tanta tenacia, non bisogna fermarsi di fronte alle difficoltà.
Il romanzo è un unicum nell’argomento che tratta e nel modo di raccontarlo. Avete avuto qualche modello di riferimento?
L: Il punto di riferimento grosso è stata l’esperienza politica e non abbiamo dedicato molto tempo a chi aveva scritto le stesse cose. Di solito la questione viene trattata in maniera diversa da come l’abbiamo trattata noi. Noi abbiamo voluto evitare toni troppo polemici, per creare qualcosa che fosse vero. Non vogliamo dare un messaggio particolare, speriamo che un messaggio emerga, ma non abbiamo mai teso a sottolinearlo e a calcarlo troppo. D’altronde chi siamo io e Roberto per dire che tizio ha sbagliato?
R.: Ci eravamo chiesti se utilizzare la forma del saggio. Ma dato che comunque l’argomento è piuttosto ostico, abbiamo voluto renderlo fruibile sia da una persona che fa politica sia da una persona che non la fa.
Nel romanzo, il partito è rappresentato come luogo di ambizioni personali, realizzate attraverso iniziative politiche prive di contenuto, necessarie unicamente a scalare i vertici. Secondo voi la politica è necessariamente così o può essere diversa?
L: La politica per certi versi non può che essere così. Non pensiamo che non sia possibile né auspicabile una politica di sola purezza, di soli ideali, di sola passione senza considerazione minima della pratica, perché sarebbe una politica che si svolgerebbe nel mondo delle idee. La politica, in quanto fondamento della democrazia, è necessariamente così: fenomeni come clientelismo, cooptazione, correntismo, fedeltà a un gruppo sono aspetti, in qualche modo, ineliminabili. Il punto, però, è saperli gestire. Un conto è dare loro libero sfogo, un conto è creare un sistema di regole, morali, etiche, giuridiche in grado di frenare le disfunzionalità naturali che porta con sé la politica. Può esistere una politica diversa? Assolutamente sì! Però bisogna volerla fare. C’è forse bisogno che tutti noi cambiamo il modo in cui guardiamo la politica. Dobbiamo comprendere che, al di là delle idee, ovviamente fondamentali, conta anche il sistema che porta a scegliere quelle persone, il loro percorso storico – personale, i loro interessi. La nostra è una democrazia rappresentativa. Non scegliamo cosa fare, ma chi decide cosa fare. Dobbiamo darci più importanza.
R: Ci vorrebbe più consapevolezza dello strumento. Quando si fa politica in un partito, si lavora con più persone. Io non condanno a prescindere le correnti, perché non si può pretendere che in un partito nazionale tutti la pensino allo stesso modo, ma se ci si distrae, la corrente si distorce e diventa uno strumento di cooptazione. Non bisogna andare tanto in là per rendersene conto. Quello che tu guardi nei giornali, ce l’hai dietro l’angolo. Non pensare a D’Alema o a Veltroni che sono da rottamare, ma pensa al tuo coetaneo: perché mette in moto certe dinamiche che sono sbagliate?
Quando torna al paese, Andrea racconta ai suoi amici la sua esperienza politica, ma gli amici sono completamente disinteressati. Perché?
R: Io ho lasciato la vita di partito, ma credo di continuare a fare politica ogni giorno. Il problema è che i partiti non assolvono più alla funzione che dovrebbereo esplicare. Quanto entri nel partito, non credi più nella politica, ma nel percorso che hai cominciato ad intraprendere all’interno del partito stesso. La contingenza del momento può farti interrogare su dei temi, ma in generale tu vivi la tua vita all’interno del partito, la scelta che farai su quell’iniziativa non gioverà alla causa, ma sulla tua posizione nel partito. È una forma di isolamento estrema. Noi abbiamo capito in che isolamento ci trovassimo perché abbiamo avuto la fortuna di avere persone intorno che ci facevano da grillo parlante e rimettevano in discussione tutto quello che facevamo. All’inizio, anche noi dicevamo come Andrea “no, non ci capiscono”, poi abbiamo comiciato a capire. Però io penso, da una parte, che le persone dentro i partiti comunque abbiano un merito. Sono lì perché nessun altro c’è. Sarebbe anche il caso che tutti coloro che non fanno politica partitica provassero ad avvicinarsi. Se succedono certi scandali, è perché c’è stato un disinteresse totale da parte del resto della società.
L: Gli amici di Andrea non lo capiscono sia perché la politica è effettivamente isolata, ma anche perchè non capiscono che certe cose sono diventate importanti. In un modo come il nostro, in cui c’è una relativizzazione dei valori in un sistema che era nato come ideologico, è molto importante pensare come fare le cose. L’opinione pubblica è poco attenta. Noi con questo libro volevamo riportare l’attenzione su questi temi.
Il titolo del romanzo descrive efficacemente il carattere del protagonista e degli altri ragazzi che lo circondano, che fanno politica dimenticando gli ideali, che forse non hanno nemmeno mai avuto. Credete che l’aggettivo moderato in realtà descriva non solo loro, ma anche una generazione che avrebbe tanto contro cui e per cui combattere e che, invece, se ne sta immobile?
R: Il titolo rispecchia non solo il protagonista, ma il carattere di tutti i ragazzi che fanno politica in questo momento in Italia. Non voglio generalizzare, perché in ogni ambiente ci sono persone portatrici di esperienze positive. Però credo che tutti dovremmo avere un po’ più di coraggio. Così giovane e così moderato è il nostro amico dottorando che accetta di lavorare come uno schiavo per il professore; così giovane e così moderato è l’amico che fa il giornalista per una testata locale e accetta di essere pagato 4 euro a pezzo. Io non mi sento di fare il moralista, però secondo me noi abbiamo scritto questo romanzo perché in qualche modo ci siamo sentiti in colpa. Ci siamo sentiti così giovani e già così moderati, e non per un mese. Per tre anni e mezzo, che sono tanti, abbiamo assecondato un modello. Il nostro romanzo è stato anche un modo per espiare una nostra colpa. Abbiamo provato a scrivere le cose affinché non si ripetano più, perlomeno a noi.
Siete fiduciosi sul futuro dei giovani in politica?
L: Il problema non è l’età anagrafica, ma la moderazione, il modo in cui ci si accosta alla politica. Il nostro libro vuole far capire che si può essere già estremamente moderati anche se si è estremamente giovani. Vediamo se andrà meglio, io me lo auguro, ma questa politica potrebbe aver già precluso la strada a chi ha un po’ di idealismo.
R: Io sono fiducioso verso i giovani, ma non mi fido dei partiti. Ci sono tra i candidati dei ragazzi brillanti e meritevoli. Ma le dinamiche che abbiamo descritto nel libro sono servite anche a scegliere quei giovani candidati.
Temete che il libro non piacerà a qualcuno?
L. Lo temiamo ogni giorno. Che non piacerà a persone che abbiamo conosciuto. Ci teniamo a dire che non abbiamo nessun rancore o astio nei confronti di qualcuno. La verità è che abbiamo vissuto un’esperienza per noi molto critica. Il libro è anche una confessione riguardo ad un sistema rispetto al quale per un periodo di tempo siamo stati conniventi.
R: Probabilmenete quelle persone che si sentiranno criticate dal libro saranno quelle persone che diranno che sono le prime a combattere perché il sistema cambi. Alcuni utilizzeranno il nostro libro dicendo che loro sono stati i primi a denunciare quello che noi denunciamo.
L: Diranno: “Non abbiamo mai voluto la cooptazione, lo abbiamo avuto fino ad ora, siamo pentiti.. perciò abbiamo candidato il 30% di giovani, il 30% di donne, etc.”. Il partito è molto bravo a contenere il dissenso interno.
Immaginate che un produttore compri i diritti del vostro libro. Chi vorreste vedere nei panni del protagonista? E del regista?
R: René Ferretti! (personaggio di Boris interpretato da Francesco Pannofino, ndr).Mi piacerebbe Valerio Mastrandrea, però è troppo vecchio per interpretare Andrea... magari lo vedrei nei panni di Massimo Suffragio. Elio Germano potrebbe essere Andrea.
L: A questo proposito, bisogna dire che un punto di riferimento che abbiamo avuto è stato proprio Boris, abbiamo tentato di fare con la politica quello che ha fatto Boris con la televisione. Si potrebbe fare una serie tv!
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