venerdì 28 giugno 2013

HO CERCATO IL TUO NOME


Ho cercato il tuo nome è un film del 2012 diretto da Scott Hicks (Shine, Sapori e dissapori), tratto dall'omonimo romanzo di Nicholas Sparks.
Logan (Zac Efron), sergente dei marines di stanza in Iraq, sopravvive miracolosamente ad un attacco grazie al ritrovamento di una foto di una giovane donna. 
Tornato negli Stati Uniti, si mette sulle tracce della ragazza, Beth, e comincia a lavorare nella sua pensione per cani, senza rivelarle la verità del suo arrivo.
Ho cercato il tuo nome è il film che doveva segnare la svolta matura di Zac Efron, da liceale canterino a soldato in congedo, tormentato dai fantasmi della guerra. Quantomeno il film era stato presentato in questo modo, ma si è trattata, in verità, di un'operazione commerciale molto furba destinata alle fan, oramai cresciute, di High School Musical e alle loro mamme, grazie ad una storia d'amore strappalacrime, infarcita di banalità e luoghi comuni, oltre ad un pizzico di retorica in salsa repubblicana.
La prima parte scorre abbastanza intensamente, anche se non si distingue per particolare originalità: dopo alcuni brevi flash della guerra, ci viene presentato Logan costretto ad allontanarsi dalla propria famiglia perseguitato dai ricordi di ciò che ha lasciato in Iraq.
La seconda parte - e soprattutto il finale - è inguardabile.
In particolare, l'uscita di scena del cattivo di turno e la sua contemporanea riabilitazione sono sconcertanti per la facilità con cui sono state pensate, degne di quei film che davano nei pomeriggi di Canele 5, tratti dai romanzi di Rosamunde Pilcher: non che i film tratti dai romanzi di Nicholas Sparks siano particolarmente diversi, ma perlomeno i primi hanno la decenza di non uscire al cinema.
Zac Efron ce la mette tutta per emanciparsi dall'adolescente che conoscevamo e la sua espressione monolitica in fondo ben si addice ad un soldato abituato alla disciplina e all'impostazione. La sua interpretazione drammatica gli è valsa, addirittura, due Teen Choice Awards e un People's Choice Awards.
La coprotagonista, Taylor Schilling, nei panni di Beth, la "donna angelo", è carina e nulla di più: avrebbe seriamente bisogno di un corso di recitazione.
Un cenno, infine, merita Blythe Danner, che, pure nei panni abbastanza ovvi della nonna che agisce da cupido tra Beth e Logan, è dotata di una gran classe e simpatia: e non per niente è la mamma di di Gwyneth Paltrow.

Voto: 4

mercoledì 26 giugno 2013

IL LADRO DI BAGDAD (1924)


Recensione pubblicata su Cinema Bendato

Titolo originale: The thief of Bagdad
Paese: U.S.A.
Anno: 1924
Regia: Raoul Walsh
Genere: Sentimentale, Avventura, Fantasy/Fantastico
Durata: 155 min.
Cast: D. Fairbanks (Ahmed), J. Johnston (principessa), A. M. Wong (schiava mongola), N. Johnson (principe indiano), S. Edwards (aiutante), C. Belcher (santone), Sojin (principe mongolo), B. Hurst (califfo)
Sceneggiatura: D. Fairbanks, L. Woods
Trama: Ahmed, impavido ladro nelle vie di Bagdad, si intrufola nel palazzo del califfo per rubare un prezioso tesoro, ma si imbatte nella principessa che vive nel palazzo e ne rimane innamorato a prima vista. Fingendosi un principe di una terra lontana, riesce a conquistare il cuore della bella, ma dovrà fare i conti con le mire di un principe mongolo, deciso a prendere con la forza non solo la principessa, ma l’intera Bagdad.
Voto:8 

Scenografie impressionanti fanno da sfondo a Il ladro di Bagdad del 1924, film muto diretto da Raoul Walsh, fortemente voluto da Douglas Fairbanks, il “re di Hollywood”, icona incontrastata dei film del genere cappa e spada, da Il segno di Zorro a Robin Hood, fin quando l’avvento del sonoro non cambiò per sempre i gusti del pubblico.
Fondatore nel 1919 insieme a Charlie Chaplin della casa di produzione United Artists e nel 1927 dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, Fairbanks fu anche sceneggiatore, sotto lo pseudonimo di Elton Thomas, di questa pellicola, tratta da una novella di Le mille e una notte, per la cui realizzazione furono spesi 2 milioni di dollari, un record per l’epoca.
La Bagdad creata dal geniale scenografo William Cameron Menzies, costruita su una superficie enorme (venticinquemila metri quadrati), è popolata di maghi, ladri, principi, incantatori, mercanti. Il film contiene tutti elementi fantastici che saranno ripresi nel cinema successivo, dedicato alla magnificenza del Medio Oriente: tappeti volanti, mantelli dell’invisibilità, cofanetti che realizzano i desideri. Gli esterni dei palazzi, alti ed imponenti, e i loro interni, sontuosi ed eleganti, dovettero contribuire a rendere vivo più che mai negli spettatori degli anni Venti il sogno di esotismo esistente all’epoca.

Protagonista assoluto è Ahmed, un ladro spericolato che disprezza gli insegnamenti del Corano, vivendo alla giornata e che si redime grazie all’incontro con la figlia del califfo. Se in un primo momento vuole rapirla, in un secondo tempo decide di rivelarle la sua vera identità e di conquistare la sua mano onestamente, sotto la guida severa, ma generosa, di un religioso. La redenzione mistica di Ahmed alla ricerca della felicità traspone in un’ambientazione orientale il più classico American dream.

Tra i coprotagonisti, ricordiamo la giovane schiava mongola, spia all’interno del palazzo del califfo, interpreta da Anna May Wong, la prima star cinese – americana della storia, che recitò successivamente accanto a Marlene Dietrich in Shanghai Express di Joseph von Sternberg.

Inserito nel 2008 dall’American Film Institute tra i dieci film di genere fantasy più belli della storia del cinema, Il ladro di Bagdad rappresenta una straordinaria combinazione di avventura e romanticismo, che, grazie agli scenari da sogno e alla dinamicità dell’azione, condita anche da un leggero umorismo, è capace di parlare una lingua universale e di essere amato ed apprezzato ancora oggi. 

Leggi la recensione del remake di questo film: Il ladro di Bagdad (1940)

venerdì 21 giugno 2013

Ho voglia di leggere: INFERNO


Intorno alla figura di un eccentrico genetista, ossessionato da Dante e dalla sovrappopolazione, Dan Brown costruisce Inferno, un thriller denso di colpi di scena, che si svolge in un arco temporale brevissimo.
Sebbene la storia, nella prima parte, sia intrisa di momenti horror, che cinematograficamente potrebbero essere resi molto bene, con una serie di richiami storici interessanti, come quello al medico della peste, nella seconda parte, quando le carte cominciano ad essere scoperte, il prosieguo del romanzo si rileva scontato e deludente.
L'approfondimento psicologico è assente, mentre banali e al limite dell'infantile sono i pensieri e l'agire dei protagonisti, che pure sono adulti e presumibilmente adulti dotati di particolare intelletto.
Qualcuno giustamente penserà che avrei potuto spendere meglio il tempo lontano dal blog piuttosto che  leggendo l'ultimo thriller di Dan Brown. 
Il primo motivo per cui non avrei dovuto leggerlo è che acquistando il bel volume ho regalato più di 20 euro alla Mondadori che non se li merita proprio. 
Il secondo motivo è che si tratta davvero di un romanzo pessimo, molto probabilmente finanziato dal Comune di Firenze, dal Comune di Venezia e da Trenitalia. Ah, e anche dal governo turco.
Avete presente quelle serie televisive nelle quali, neppure troppo velatamente, vi sono scene in cui di fatto viene fatta pubblicità a questo o a quel prodotto? La sensazione che di solito provo è di straniamento e fastidio. Stessa sensazione che ho provato leggendo Inferno, quando l'autore elogia la bellezza e la convenienza del Frecciargento.
A parte queste considerazioni, non posso non rilevare che Robert Langdon con il suo orologio di Topolino è un personaggio della letteratura contemporanea, la cui immagine oramai non può che sovrapporsi a quella di Tom Hanks che lo ha interpretato nei film di Ron Howard, Il Codice da Vinci e Angeli e Demoni. Un personaggio figlio dei nostri tempi perché è l'unico storico dell'arte, nella vita reale e nella finzione, capace di paragonare la chiesa di Santa Sofia di Istanbul al castello della Bella Addormentata della Walt Disney. E per questo, in fondo in fondo, mi fa simpatia.

Voto: 4