lunedì 31 marzo 2014

GAMER


Recensione di Marco Zaninelli

Titolo originale: Gamer
Paese: U.S.A.
Anno: 2009
Durata: 95 min.
Genere: azione, fantascienza, thriller
Regia: Mark Neveldine, Brian Taylor
Soggetto e sceneggiatura: Mark Neveldine, Brian Taylor
Cast: Gerald Butler, Logan Lerman, Alison Lohman, Michael C. Hall, Ludacris  
Questo film è del 2009. Non mi era mai capitato di vederlo, era stato uno dei tanti film d’azione che nelle mie capatine al cinema avevo snobbato come mera violenza gratuita. Qualche sera fa lo passano in televisione, mi pare su Cielo, che tendenzialmente mette in programmazione film tutt’altro che da Empireo (perdonate la battuta, probabilmente sono riuscito ad attirarmi l’odio generale già nelle prime 4 righe).
Svogliato mi metto a guardarlo nella speranza che mi concili un rapido sonno ristoratore. E invece, maledetto a lui, no. Dopo un po’ mi avvicino un foglietto di carta. Inizio a buttare giù qualche impressione. La stanchezza e il sonno si dileguano. Continuo a scrivere.
Dai miei appunti leggo: «psichedelica distopia fantascientifica». Ditemi se un persona normale scriverebbe una cosa simile. Io faccio di peggio, la faccio anche pubblicare. In ogni caso il film è ambientato per l'appunto negli USA di un non lontano futuro (2034) in cui il sistema carcerario è al collasso. Allora il governo, d’accordo con un genio alla Zuckeberg, tale Ken Castle (Michael C. Hall, sempre eccezionale quanto deve interpretare uno psicopatico, come nella serie tv Dexter), crea un videogioco sparattutto online in cui gli utenti, attraverso un sistema di controllo remoto della mente, comandano le azioni di un detenuto condannato a morte. Questo è Slayers; il detenuto che riuscirà a vincere 30 battaglie avrà la libertà.
Potete immaginare che tutto ciò si trasformi in un cruento, disumano e terrificante modo per sfoltire le carceri stracolme. Come è immaginabile, i pochi fortunati che riescono a salvarsi tendono invece a dare segni di “leggero” squilibrio. Soltanto un condannato è stato in grado di superare ben 27 battaglie, senza morire o impazzire: il suo nome è John "Kable" Tillman (Gerard Butler) ed è controllato da un ragazzino, tale Simon (Logan Lerman, del secondo Percy Jackson e di Noi siamo infinito).
In realtà, il miliardario deve la sua ricchezza a un altro videogioco, Humanz, ovvero la versione pacifica di Slayers, una specie di Second Life, in cui però, ancora una volta, gli avatar dei giocatori sono persone reali. Uno di questi avatar è proprio la moglie di Kable. Lui ovviamente combatte per tornare dalla famiglia, ma nessuno può scampare al massacro, soprattutto se, come lui, conosce troppe cose. Ken Castle infatti progetta l’asservimento dell’umanità tramite la stessa tecnologia già usata nei due videogiochi. A contrastarlo restano solo  un gruppo di sovversivi, capitanati dal rapper Ludacris, che scagliano una serie di attacchi informatici e aiutano Kable a fuggire.
La storia non è delle più originali, ma in realtà è stato il contorno ad avermi stupito:  in particolare la riflessione sull’alienazione che una tecnologia troppo immersiva  può provocare e il fatto che lo strepitoso successo che i due videogiochi hanno (scene di globale isteria collettiva con folle che seguono lo svolgersi delle battaglie) sia basato sulla soddisfazione dei più bassi istinti dell’uomo: la violenza, in primis, e tutte le conseguenze che derivano dalla più totale e folle libertà individuale, senza legge o etica.
Gli avatar in Humanz, totalmente alienati dalla propria volontà, offrono i propri corpi al totale controllo dell’utente esterno, in uno scenario anarchico in cui tutto è possibile; prevedibili le conseguenze: dagli abiti più assurdi, alle scenografie e gli edifici psichedelici, alla nudità gratuita, alle perversioni sessuali più contorte, allo scatenarsi di orge, risse, ferimenti provocati da utenti sadici, promiscuità, voyeurismo, ecc. Tutte azioni compiute dagli utenti nella solitudine di casa propria e poi ripetute dagli avatar nella realtà.
Interessanti anche le scelte registiche: alcuni accorgimenti ricostruiscono, o per lo meno tentano di farlo,la visuale che un giocatore avrebbe in un’esperienza di gioco su console in terza persona; rallenty sulle esplosioni e i momenti salienti, alterazioni dello schermo, rallentamenti del fluire delle azioni, ecc.
Per tutte queste cose e per il discorso che comunque cerca di portare avanti, pur nelle sue mancanze, ho pensato che un 6 fosse comunque meritato. 

Voto: 6

sabato 29 marzo 2014

DEAR JOHN


Titolo originale: Dear John
Paese: U.S.A.
Anno: 2010
Durata: 105 min. 
Genere: drammatico, romantico
Regia: Lasse Hallstrom
Soggetto: Nicholas Sparks
Sceneggiatura: Jamie Linden
Cast: Channing Tatum, Amanda Seyfried, Richard Jenkins, Henry Thomas, Scott Porter, D. J. Cotrona, Cullen Moss
Trama: John e Savannah si incontrano mentre lei è in vacanza e subito si innamorano. Ma lui è un soldato dell'esercito degli Stati Uniti e sta per completare il suo periodo di congedo.

Continua la mia carrellata di film mielosi tratti dai romanzi di Nicholas Sparks e dopo Le pagine della nostra vita e Ho cercato il tuo nome, ho visto Dear John.
(D'altronde, devo resistere al terribile impulso di andare a vedere la nuova saga teen fantasy, Divergent, e posso reprimerlo solo vedendo film brutti e smielati). 
Ciò che è sorprendente - ma forse neanche troppo - è che il film in alcuni momenti mi ha emozionato. 
Non fraintendetemi: il film non racconta niente di nuovo. Da un lato, abbiamo un soldato in guerra, dall'altro una donna che all'inizio lo aspetta e poi si stanca di aspettarlo. Tuttavia - forse sarà la regia di Lasse Hallstrom, che ha fatto anche dei buoni film (Buon compleanno, Mr Grape, Le regole della casa del sidro, Chocolat) - Dear John ha qualche aspetto che gli permette di raggiungere la sufficienza.
In primo luogo, il film non è infarcito di retorica nazionalista sulla guerra condotta dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan e in un film del genere sarebbe stato facile incontrarla. John (Channing Tatum) sceglie liberamente di arruolarsi dopo l'11 settembre, ma avrebbe potuto benissimo non farlo e nessuno lo avrebbe biasimato. Il giudizio sulle due guerre fortunatamente è completamente assente.
In secondo luogo, ho apprezzato particolarmente la figura del padre di John (Richard Jenkins), un uomo che soffre di un leggero autismo e che ciononostante ha cresciuto un figlio da solo, dopo l'abbandono della madre.
Bravi sia Richard Jenkins che Channing Tatum a rendere credibile un tale rapporto, che ben facilmente avrebbe potuto sfiorare il ridicolo. D'altronde, pur essendo il prototipo del belloccio americano, Channing Tatum ha un'espressività che non ci si aspetta, mentre Richard Jenkins è sempre magnifico in tutti i ruoli, purtroppo secondari, che gli affidano.
Stendiamo, invece, un velo pietoso su Amanda Seyfried, Savannah nel film, alla quale consiglio con profondo affetto di cambiare mestiere.

Voto: 6

lunedì 24 marzo 2014

ORIGINALE VS. REMAKE: FUNNY GAMES

Dopo alcuni mesi di assenza torna finalmente la rubrica Originale vs. Remake in collaborazione con Director's Cult. Questo mese è il turno di un film che ha spaventato il pubblico europeo ed americano con una duplice versione diretta dallo stesso regista: ovviamente sto parlando di Funny Games, film del 1997 di Michael Haneke, che dieci anni dopo ne ha diretto lo stesso remake shot for shot americano.
Su Director's Cult potete trovare la recensione del remake americano, mentre di seguito trovate la recensione del film originale del 1997.



Titolo originale: Funny Games
Paese: Austria
Anno: 1997
Durata: 103 min.
Genere: drammatico, horror
Regia: Michael Haneke
Soggetto: Michael Haneke
Sceneggiatura: Michael Haneke
Cast: Susanne Lothar, Ulrich Muhe, Arno Frisch, Frank Giering, Doris Kunstmann, Wolfgang Gluck, Christoph Bantzer, Stefan Clapczynski
Trama: Una famiglia composta da madre, padre, bambino e cane, arriva nella seconda casa per le vacanze estive. Di lì a poco, due ospiti dei vicini di casa, Peter e Paul, apparentemente gentili ed educati, vengono a turbare la loro quiete. 

Funny games rappresenta un film unico nel suo genere. Una rappresentazione della violenza, allo stesso tempo, cruda e insignificante, senza che effettivamente la violenza venga concretamente mostrata. Haneke crea un dramma teatrale, destinato a essere replicato, riprodotto, come poi farà lui stesso nel 2007 con la versione americana shot for shot.
In un luogo immacolato e incontaminato, due ragazzi, vestiti di bianco, angeli del male, armati di una mazza da golf, portano scompiglio all'ordinaria routine quotidiana delle ricche famiglie in vacanza. Il dramma si svolge nell'arco di circa dodici ore, che pesano, anche se il film dura 103 minuti. 
Quando il padre Georg chiede a Peter e a Paul: "Perché fate questo?", i due inventano una storia come un'altra. La verità è che la violenza è sempre violenza, comunque la si guardi e comunque la si subisca. Alla fine l'incubo per alcuni, nel bene o nel male, finisce e ricomincia da qualche altra parte e per qualcun altro. 
Oltre all'inspiegabile e tracotante freddezza dei due aguzzini, ciò che scuote lo spettatore è l'insopportabile incapacità della famiglia protagonista di reagire, se non all'ultimo momento e quando oramai è troppo tardi: un'incapacità forse inspiegabile se confrontata con la tradizionale (e direi fittizia) eroicità dei personaggi televisivi e cinematografici, ma che registra un'umanità più vera, scioccata da un evento del tutto inatteso ed improvviso. Haneke porta, dunque, in scena la violenza del carnefice, da un lato, e la passività della vittima dall'altro, mostrando con onestà l'una e l'altra, ma senza volontà di suscitare compassione. Alla fine, si tira un sospiro di sollievo, ma allo stesso tempo con orrore ci si domanda: tu chi sei? Vittima o carnefice?

Voto: 8

Se vi è piaciuto guardate anche... Funny games (2007), Arancia Meccanica, Elephant



Funny Games del 1997

Funny Games del 2007



domenica 23 marzo 2014

ASPIRANTE VEDOVO


Recensione di Marco Zaninelli

Titolo originale: Aspirante vedovo
Paese: Italia
Anno: 2013
Durata: 85 min.
Genere: commedia
Regia: Massimo Venier
Soggetto: Dino Risi, Rodolfo Sonego, Fabio Carpi
Sceneggiatura: Massimo Venier, Ugo Chiti, Massimo Pellegrini
Cast: Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Alessandro Besentini, Francesco Brandi, Roberto Citran, Bebo Storti, Ninni Bruschetta, Clizia Fornasier, Fulvio Falzarano, Stefano Chiodaroli

Poco da dire: Alberto Nardi (Fabio De Luigi), imprenditore incapace, è sposato con Susanna Almiraghi (la Lucianina nazionale) , abile, ricca e spregiudicata affarista; Questa, apparentemente scomparsa in un incidente aereo, lasciando al marito l’eredità dell’impero finanziario, ricompare, facendo maturare ad Alberto progetti criminosi.
Massimo Venier alla regia, lo sceneggiatore e regista dei film di Aldo, Giovanni e Giacomo per intenderci. In più il film vanta un precedente solido, infatti è il remake, liberamente tratto, de Il vedovo (1959) di Dino Risi, con Alberto Sordi e Franca Valeri. Diciamo: qualche palese riferimento (la torre Velasca, l’ascensore , i nomi propri …) ma nulla più . 
In realtà le premesse ci sono, per chi apprezza l’umorismo espressivo e i personaggi perennemente “inetti” di De Luigi o i monologhi della Litizzetto a Che tempo che fa; in più, avendo in mente alcune opere di Venier la risata pare assicurata. In più il cast, in poco più che camei, raccoglie anche un buon numero di facce note, comici e attori di varia estrazione (Francesco Brandi, Bebo Storti, Roberto Citran, Fulvio Falzarano, Ninni Bruschetta…).Con questo spirito, ma anche con qualche commento non troppo positivo da parte di amici mi accingo alla visione.
Il ritmo appare troppo lento (mi capita di dover guardare un po’ troppo l’orologio) per una pellicola che oltretutto scorre via in meno di un’ora e mezza. Qualche sorriso, tanto cinismo e un odio intenso, profondo e viscerale per … tutti. Sta qui il problema. Forse sono solo un idealista, ma la realtà spesso è anche troppo disperante per mostrarla tale e quale anche su uno schermo. Non c’è nemmeno la denuncia accorata di un sistema, c’è solo il cinismo, l’opportunismo di una classe di imprenditori che strangolano il paese, che sperano in una fine non troppo rapida della crisi economica («c’è da arricchirsi», sussurra Susanna in Chiesa, parlando con un vescovo assolutamente consenziente).
Nel film di Risi almeno si ghigna, pur con un brivido lungo la schiena.  Qui resta solo il brivido e la voglia di piangere. E anche quando ci si immedesima un minimo nel personaggio più sfortunato, seppur megalomane, arrogante, realmente incapace e fastidioso (si lamenta dell’Italia impossibile da cambiare, salvo poi tentare di essere tale e quale la gente che frequenta), le cose vanno sempre al contrario di come uno, in cuor suo, senza dirlo in giro, vorrebbe.  Persino l’autista di Alberto, Giancarlo (Francesco Brandi) è maleducato e prepotente, anche Stucchi (Alessandro Besentini, di Ale e Franz), inizialmente l’unico con un barlume di onestà e legato ad Alberto da una sorta di amicizia, si rivela senza scrupoli, appoggiando il tentativo di Alberto di uccidere  la moglie e abbandonando De Luigi dopo il fallimento.
Ovviamente, quando uno spera che almeno Susanna al secondo tentato omicidio ci lasci le penne, in un moto di giustizia celeste (pessimo inoltre l’affidarsi della donna a un amuleto religioso che sembra proteggerla man mano che la sua condotta si fa più spregiudicata, man mano che umilia sempre più il marito), il film si concluderà nel modo più ovvio, con la morte (si deve dire qui rispettando la pellicola del 1959) di Alberto.

Voto: 4 e 1/2

Ho voglia di leggere: MONUMENTS MEN. EROI ALLEATI, LADRI NAZISTI E LA PIU' GRANDE CACCIA AL TESORO DELLA STORIA


L'ultimo film diretto da George Clooney, Monuments men, mi ha spinto a leggere l'omonimo libro di Robert M. Edsel da cui la pellicola è tratta e che racconta "la più grande caccia al tesoro della storia", ovvero la ricerca delle opere d'arte rubate dai nazisti nei territori occupati da parte di una squadra speciale di soldati, inglesi e americani, inviati sul suolo europeo. 
Il libro è a metà strada tra romanzo storico e storiografia. Edsel ha dato voce e personalità a personaggi realmente esistiti che, almeno in parte, ha potuto conoscere solo attraverso gli scritti e il racconto di altri, ma, dal punto di vista storico, non ha inventato nulla e si è attenuto strettamente al ruolo svolto da ciascuno di questi uomini all'interno della guerra mondiale, riportandone nel corso della narrazione citazioni tratte dai loro appunti o intere lettere.
Il libro, molto più denso di particolari rispetto al film di Clooney, ha il merito di ricostruire l'orrore della seconda guerra mondiale, mostrando sia il punto di vista dei soldati coinvolti che dei civili colpiti prima dall'invasione nazista e poi dalla liberazione da parte delle potenze alleate. 
Ma attenzione particolare viene dedicata, chiaramente, alle opere d'arte: dalla Madonna di Bruges, unica opera di Michelangelo situata fuori dall'Italia, alla pala d'altare di Gand, passando per la Gioconda di Leonardo e l'Astronomo di Vermeer. Monuments men, rappresenta, dunque, un omaggio alla storia dell'arte europea, a quei grandi artisti che hanno arricchito e hanno cambiato la nostra cultura, nonché a quegli uomini della sezione cd. Monumenti che impegnarono la propria vita per la sua conservazione. In quanto tale, il libro non potrà che essere apprezzato da tutti coloro che amano l'arte sopra ogni cosa, che inevitabilmente rabbrivideranno al pensiero che migliaia di opere sarebbero potute scomparire per sempre. 

venerdì 21 marzo 2014

300 - L'ALBA DI UN IMPERO


Titolo originale: 300: Rise of an empire
Paese: U.S.A.
Anno: 2014
Durata: 103 min. 
Genere: drammatico, azione, storico
Regia: Noam Murro
Soggetto: Frank Miller
Sceneggiatura: Zack Snyder, Kurt Johnstad
Cast: Sullivan Stapleton, Eva Green, Rodrigo Santoro, Callan Mulvey, David Wenham, Jack O' Connell, Hans Matheson, Andrew Tiernan, Lena Headey
Trama: Mentre i trecento spartani tentano di rallentare i persiani alle Termopili, gli Ateniesi affrontano le imponenti navi persiane in mare.

300 - L'alba di un impero è l'evitabile seguito del ben più appassionante 300, film del 2007 diretto da Zack Snyder e tratto dall'omonimo graphic novel di Frank Miller.
Non si tratta propriamente di un sequel, bensì di un midquel. Il film racconta, infatti, dal punto di vista degli Ateniesi alcuni episodi della guerra condotta dai Persiani contro i Greci mentre è in corso la battaglia alle Termopili, sebbene anche in questo capitolo un ruolo importante venga svolto dalla città di Sparta.
Protagonista, dunque, di questo film non è il re spartano Leonida, sacrificatosi con i suoi valorosi trecento guerrieri, bensì il generale ateniese Temistocle (Sullivan Stapleton), che con la sua astuzia riesce nell'impresa di sconfiggere i Persiani in mare nella celebre battaglia di Salamina, in occasione della quale poche ed agili triremi greche sconfiggono le pesanti navi persiane. Temistocle è presentato come un novello Ulisse: valoroso ed astuto, si lascia sedurre dalla nemica Artemisia (Eva Green), paga cari i suoi errori, ma alla fine prevale e si riprende ciò che è suo: la vittoria.
Al di là dell'aderenza del film a ciò che conosciamo della storia greca di quel periodo - per lo più trasmessaci da Erodoto con l'intenzione di glorificare il popolo greco - l'intero film sembra un tentativo forzoso e disperato di dare un seguito a una storia di per sé già compiuta. Seppur collocata nell'ambito di una guerra di più ampio respiro, la battaglia alle Termopili è singolarmente dotata di un'epicità quasi pari a quella della guerra di Troia e il graphic novel di Frank Miller, prima, e il film di Zack Snyder, poi, erano riusciti a catturare lo spirito e l'audacia di quei pochi Spartani che, guidati dal re Leonida, si sacrificarono per l'intera Grecia.
Ciò non è avvenuto assolutamente in 300 - L'Alba di un impero, che è un mero film di azione, incapace di trasmettere emozioni, di coinvolgere e di chiamare gli spettatori alle armi per la difesa della Grecia, privo completamente alla base di un'idea originale di sceneggiatura. Il tentativo di collocare la battaglia delle Termopili all'interno della più ampia guerra greco - persiana è completamente fallito. Il film non ha, infatti, il coraggio di abbandonare Sparta per Atene, rimanendo troppo legato alla storia del primo capitolo e non riuscendo a mostrare quale fosse, effettivamente, la diversità del popolo ateniese rispetto a quella del popolo spartano.
Sulla carta si presentava molto interessante il personaggio di Artemisia, comandante dell'esercito di Serse, forse unica donna dell'antichità che abbia mai partecipato con poteri decisionali ad una campagna militare. Il suo personaggio è stato, però, banalmente trasformato in una femme fatale desiderosa di vendetta per motivi esclusivamente personali. Inoltre, la sua eccezionalità viene del tutto meno con la partecipazione alla battaglia di Salamina della moglie di Leonida, la regina Gorgo (Lena Headey), cui, tra l'altro, è stato attribuito un ruolo dal punto di vista storico assolutamente inesistente (oltre che inconcepibile per i Greci). Parimenti personali sembrerebbero i motivi che conducono l'imperatore persiano Serse (Rodrigo Santoro) alla guerra: e anche, in questo caso, si tratta di una banalizzazione del tutto ingiustificata e di cui si poteva fare a meno.

Voto: 4

Se vi è piaciuto guardate anche: 300, Troy, Scontro tra titani, La furia dei titaniL'ultima legione

mercoledì 19 marzo 2014

Liebster Award

Con enorme piacere ho ricevuto da parte di Laura di Penna e Calamaio il Liebster Award, un premio molto carino assegnato da blogger ad altri blogger.
Le regole del premio sono le seguenti:

1 - Rispondere alle domande di chi ci ha nominato;
2 - Nominare altre 3 blogger con meno di 200 follower;
3 - Proporre ai candidati 10 nuove domande;
4 - Andare nei singoli blog e comunicare la nomina.

Ecco, dunque, le mie risposte alle domande poste da Laura:

1) Cosa ti ha spinto ad aprire il tuo blog?
La passione per il cinema e la necessità di condividerla con altri scrivendo.

2) Cosa ami di più di leggere un libro?
Amo il fatto che il libro ci accompagni per giorni: ogni sera lo ritrovo dove l'ho lasciato e dopo una giornata stressante posso immergermi in un'altra dimensione e fingere di essere un osservatore piccolo e nascosto della vita di altri.

3) Il tuo genere preferito di letture?
Non ho generi preferiti; amo molto il fantasy e i gialli.

4) Il tuo personaggio storico preferito?
Alessandro Magno.

5) Il tuo regista preferito?
Domanda... difficilissima!!! Se proprio devo scegliere, scelgo Christopher Nolan. Ma tra cinque minuti potrei aver cambiato idea.

6) Qual è l'ultimo film che hai visto al cinema? Ti è piaciuto?
300 - L'alba di un impero ... che non mi è piaciuto!

7) Cosa ami fare di più nel tempo libero?
Ovviamente... andare al cinema!

8) In quale romanzo avresti voluto essere uno dei protagonisti?
Mmm... credo che avrei voluto essere un elfo in Il signore degli Anelli!

9) La tua stagione preferita qual è e perché?
La primavera, perché le giornate sono più lunghe e più calde, ma non ancora così tanto da non respirare.

10) Cambieresti il nome che ti è stato dato?
No!

 I blog che nomino per il Liebster Award sono:

1) Director's Cult
2) Solaris
3) In Central Perk

Ed infine, le dieci domande!

1) Che libro hai sul comodino?
2) Qual è il film più vecchio che tu abbia mai visto?
3) Ti sei mai innamorato/a del personaggio di un romanzo?
4) Hai mai incontrato dal vivo il tuo attore/attrice/regista preferito? 
5) Quale film horror ti ha spaventato di più in tutta la tua vita?
6) Quale film avresti voluto dirigere?
7) Quale romanzo avresti voluto scrivere?
8) Qual è il primo film che hai visto al cinema di cui hai memoria?
9) Se potessi usare una macchina del tempo, in quale epoca storica vorresti vivere?
10) A proposito di catene... Hai mai fatto quelle via posta?
 

sabato 15 marzo 2014

DAVID CRONENBERG DAY - COSMOPOLIS


Titolo originale: Cosmopolis
Paese: Canada, Francia, Italia
Anno: 2012
Durata: 105 min. 
Genere: drammatico
Regia: David Cronenberg
Soggetto: Don DeLillo
Sceneggiatura: David Cronenberg
Cast: Robert Pattinson, Juliette Binoche, Paul Giamatti, Samantha Morton, Jay Baruchel, Sarah Gadon, Kevin Durand
Trama: Il giovane miliardario Eric Packer decide di attraversare l'intera Manhattan a bordo della sua lussuosa limousine per andare a tagliarsi i capelli dal suo vecchio barbiere. La visita del presidente degli Stati Uniti, il funerale di un rapper famoso e le proteste anarchiche in corso in città non gli faranno cambiare idea.

Nel 2003 fu pubblicato Cosmopolis di Don DeLillo, scrittore italo - americano già due volte premio Pulitzer: un romanzo conturbante, ma altamente suggestivo.
Oggi i critici affermano che DeLillo con quel romanzo profetizzò l'attuale crisi economica; ma, forse, sarebbe più corretto ritenere che DeLillo abbia avuto il coraggio di esprimere ciò che altri si rifiutavano di ammettere: che, prima o poi, il sistema capitalistico sarebbe imploso.
David Cronenberg si è accostato a questo romanzo con autentica fedeltà, riproducendo attentamente i dialoghi esistenziali che i diversi personaggi conducono con il protagonista all'interno di una lussuosa limousine, che è dotata di ogni comfort, ma che è lontana dalle vicende e dalle emozioni del mondo reale. L'assurdo domina l'intera storia: il protagonista agisce senza ragioni precise, in preda alla noia e, soprattutto, alla paranoia. E' la riproduzione dell'insensatezza di un sistema capitalistico nel quale il lavoratore è un numero, eliminabile a piacimento, e nel quale chi guadagna di più è chi, fondamentalmente, non lavora: un sistema che permette ad alcuni di avere più di quanto potranno mai spendere e ad altri di morire di fame.
Il momento finale del film sembra abbracciare in pieno il pensiero dei filosofi dell'antichità che ritenevano il tirannicidio legittimo. Perché, nel mondo di DeLillo e di Cronenberg, il tiranno non è il potere politico - ed, infatti, il presidente degli Stati Uniti, in visita a New York, rappresenta una presenza totalmente indifferente e irrilevante - bensì il potere economico, unico vero centro nevralgico ed unica vera struttura su cui si ergono tutte le altre.  

Voto: 7




Questo post partecipa alle "celebrazioni" indette per il compleanno del grande David Cronenberg, che proprio oggi compie 71 anni.
Ecco tutti i blog partecipanti al David Cronenberg Day:
Buon compleanno David Cronenberg e buoni festeggiamenti!


venerdì 14 marzo 2014

THE BUTLER


Recensione di Marco Zaninelli

Titolo originale: The butler
Paese: U.S.A.
Anno: 2013
Durata: 113 min. 
Genere: biografico, drammatico, politico
Regia: Lee Daniels
Soggetto: Will Haygood
Sceneggiatura: Lee Daniels, Danny Strong
Cast: Forest Whitaker, Oprah Winfrey, John Cusack, Jane Fonda, Cuba Gooding Jr., Alan Rickman, Lenny Kravitz, Vanessa Redgrave, Robin Williams, Melissa Leo, Alex Pettyfer, Mariah Carey, Liev Schreiber 

Gli americani chiudono sempre un occhio su quello che hanno fatto al loro popolo. Guardiamo il resto del mondo e giudichiamo. Sentiamo parlare dei campi di concentramento ma quei campi ci sono stati per ben 200 anni anche qui, in America (Cecil Gaines)

Quando un film avvince, commuove e fa riflettere merita un nove. Bello e toccante, senza se e senza ma. Tra i cavalli di razza pronti ad affrontarsi agli Academy Awards, un autentico purosangue è rimasto in scuderia. Con spessore e ampiezza ci regala uno sguardo sugli ultimi 80 anni di storia americana, visti con gli occhi degli ultimi, con gli occhi di chi con dignità, sudore e sangue ha sopportato l’odio, la violenza, la paura e l’altrui follia, lottando per i diritti che tutti noi, oggi, diamo per scontati. 
Cecil Gaines (Forest Whitaker), nato delle piantagioni del sud, “negro di casa” e poi abile maggiordomo alla Casa Bianca, attraversa la vita di otto presidenti, guadagnandosi sempre rispetto e fiducia: un uomo dall’incrollabile senso del dovere e della fatica quotidiana, che però è sempre costretto a mostrare due volti, l’uno per i suoi, l’altro per i bianchi che deve servire «come se nella stanza non esistesse». Sua moglie (Oprah Winfrey), da sempre fiera di lui, è però infelice per le assenze del marito e per il rapporto contrastato che l’uomo ha con il figlio maggiore Louis (David Oyelowo), impegnato in prima linea per i diritti civili e sempre più spesso coinvolto negli scontri, nei linciaggi e anche ripetutamente arrestato. Il giovane, dopo aver condiviso le idee di Martin Luther King, di Malcolm X ed essersi unito alle Black Panther, resterà a lungo lontano dalla famiglia e dal padre con il quale, proprio a causa della sua apparente subordinazione ai bianchi passivamente accettata, entra fin da giovanissimo in conflitto. Il figlio minore invece, dopo aver rinfacciato al fratello di voler combattere “per” il proprio paese e non “contro” ed essere partito per il Vietnam, in quelle terre morirà («Il Vietnam mi ha portato via un figlio e io non sapevo nemmeno perché eravamo là», affermerà Cecil). Alla fine Louis deciderà di lasciare il Black Panther Party, rifiutando la strategia della violenza, ritornando a studiare e dedicandosi alla carriera politica nel partito democratico. Nonostante i lunghi contrasti, padre e figlio troveranno infine la pace e il reciproco perdono. 
Cecil incontra e mostra al pubblico le debolezze, i vizi e le virtù di molti presidenti, ognuno dei quali interpretato, in interessanti camei,  da attori del calibro di Robin Williams, James Marsden, Alan Rickman, Liev Schreiber e John Cusack, affiancati dalle più celebri tra le first ladies americane, come Jackie Kennedy (Minka Kelly) e Jane Fonda nel ruolo di Nancy Reagan. 
Un’opera corale che raccoglie moltissimi volti noti, soprattutto tra gli attori afroamericani: Terrence Howard, Cuba Gooding Jr. e Lenny Kravitz, ma anche l’attrice premio Oscar 1978 Vanessa Redgrave, nel ruolo della padrona della casa in cui Cecil, da bambino, assiste all’omicidio a sangue freddo del padre. In realtà molte interpretazioni meriterebbero una segnalazione particolare: ovviamente l’immenso Forest Whitaker (già insignito dell’Oscar per L’Ultimo Re di Scozia) e Oprah Winfrey che, muovendosi da attrice navigata, è veramente emozionante nella sua sofferenza di madre e moglie.

Voto: 9

domenica 9 marzo 2014

AUSTENLAND - ALLA RICERCA DI JANE

Titolo originale: Austenland
Paese: Regno Unito, Stati Uniti
Anno: 2013
Durata: 96 min.
Genere: commedia romantica
Regia: Jerusha Hess
Soggetto: Shannon Hale
Sceneggiatura: Jerusha Hess, Shannon Hale
Cast: Keri Russell, JJ. Field, Bret McKenzie, Jennifer Coolidge, Georgia King, James Callis, Jane Seymour, Ricky Whittle
Trama: Jane Hayes è una giovane donna che ha superato i trent'anni ed è ossessionata dai romanzi di Jane Austen. Per trovare finalmente l'uomo dei suoi sogni, trascorre una vacanza in un resort inglese ispirato al mondo della scrittrice inglese.

C'è una malattia che colpisce molte donne e che si chiama dipendenza da Jane Austen. La malattia si manifesta, in particolare, tramite la ricerca spasmodica e ossessionata di un fidanzato che almeno lontanamente assomigli al Mr. Darcy della miniserie televisiva tratta da Orgoglio e pregiudizio nel 1995, ovvero ad un giovane, affascinante ed inespressivo Colin Firth. Ne era colpita Bridget Jones, ne è colpita la protagonista di Austenland, Jane Hayes (una simpatica Keri Russell), che, superati i trent'anni, non riesce a dare un senso alla propria esistenza a causa della sua fissazione per Jane Austen. Nel suo salotto maestosa ed indomabile si staglia una gigantografia di Mr. Darcy, con la quale tutti gli uomini, che miracolosamente passano di lì, devono necessariamente confrontarsi.
Austenland mostra come una donna di oggi potrebbe vivere in un mondo in cui tutto è lento e calcolato come era quello di una donna di fine Settecento, senza utilizzare l'espediente del viaggio nel tempo, ma inventando un resort i cui ospiti, a seconda del "pacchetto vacanza" scelto, possono godere dei passatempi dell'epoca, storia d'amore compresa.
Da un lato, dunque, Austenland cerca di demolire i falsi miti che aleggiano intorno ai romanzi della scrittrice inglese, ma dall'altro riconferma completamente i canoni della commedia romantica che Jane Austen ha inventato: sulla scorta di Orgoglio e pregiudizio, gli uomini appartengono a due categorie: possono essere introversi e orgogliosi, ma assolutamente affascinanti e onesti, come Mr. Darcy, oppure attraenti e socievoli, ma falsi e spietati, come Mr. Wickham.
Il film è piacevole e divertente, ma, come è naturale che sia per questo genere di film, potrà essere apprezzato soprattutto dagli amanti delle classiche commedie romantiche: ragion per cui, se siete cinici ed odiate Jane Austen (o perlomeno, la Jane Austen commercializzata di oggi), state alla larga da Austenland.
Tra i protagonisti, segnalo la presenza di Jane Seymour, indimenticata protagonista de La signora del West, nei panni dell'antipatica padrona di Austenland. 

Voto: 6+

sabato 8 marzo 2014

MONUMENTS MEN


Titolo originale: The monuments men
Paese: U.S.A., Germania
Anno: 2014
Durata: 118 min.
Genere: commedia, drammatico, guerra
Regia: George Clooney
Soggetto: R.M. Edsel, B. Winner
Sceneggiatura: G. Clooney, G. Heslov
Cast: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, Cate Blanchett, Jean Dujardin, John Goodman, Hugh Bonneville, Bob Balaban, Dimitri Leonidas
Trama: 1943. Mentre l'esercito tedesco ruba le più importanti opere d'arte dai musei di tutta Europa, il governo americano invia sul suolo europeo un gruppo di improbabili soldati per recuperare i capolavori rubati.
 
Le innumerevoli atrocità perpretrate durante la seconda guerra mondiale hanno necessariamente messo in ombra una parte di storia interessante, ovvero quella relativa ai furti di opere d'arte compiuti dai tedeschi nei paesi occupati: opere d'arte da occultare perché contrarie all'ideologia nazionalfascista, oppure necessarie per l'allestimento del museo personale del Fuhrer.
George Clooney ha il merito di aver recuperato questa storia, costruendo un film che riesce a mantenere un tono da commedia, senza cadere nel grottesco e senza essere superficiale nella rappresentazione degli orrori della guerra.
La domanda che percorre l'intero film non è semplicemente "Quanta importanza ha un'opera d'arte rispetto alla vita di un uomo?", perché in questo caso la risposta potrebbe essere solo una. La domanda che si pone Clooney e che pone allo spettatore è la seguente: "Vale la pena scegliere di rischiare la propria vita per salvare un'opera d'arte?".
Alla domanda ognuno di noi può dare una risposta solo pensando a cosa rappresentino nella propria vita le opere d'arte. Forse non saremmo in grado di donare la vita per esse, ma potremmo comprendere le motivazioni di chi ha rischiato tutto per la loro salvezza.
I monuments men, che comprendono ottimi interpreti, da Matt Damon allo stesso Clooney, da Bill Murray a John Goodman, sono a metà strada tra gli Inglourious basterds di Quentin Tarantino e gli Ocean's Eleven di Steven Soderbergh: costituiscono una squadra improbabile, con una missione impossibile e con armi speciali, quali l'intraprendenza, l'amore per l'arte e l'autoironia, data la loro età avanzata rispetto al resto dei soldati in guerra. I personaggi più riusciti sono quelli interpretati da Bill Murray e Bob Balaban, due architetti rivali, che animati da un intento comune diventano finalmente amici.

Voto: 6 e 1/2


giovedì 6 marzo 2014

TUTTA COLPA DI FREUD

 
Recensione di Marco Zaninelli
Titolo originale: Tutta colpa di Freud
Paese: Italia
Anno: 2014
Durata: 120 min.
Genere: commedia
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paola Mammini, Paolo Genovese, Leonardo Pieraccioni
Sceneggiatura: Paolo Genovese
Cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Laura Adriani, Daniele Liotti, Giulia Bevilacqua, Maurizio Mattioli, Gianmarco Tognazzi

A parte l’aver sentito al cinema, terminato il film, la seguente frase: «Che vuol dire tutta colpa di FRED?», su cui disperatamente sorvolo, la trama si dipana attraverso le vicende amorose di tre sorelle il cui padre Francesco, psicanalista di mestiere, non solo deve fare il genitore ma anche l’amico (orrore ed errore della genitorialità contemporanea) e l’analista delle figlie (non proprio deontologicamente corretto). Infatti, le tre splendide ragazze non sono propriamente in situazioni tipiche: Sara (Anna Foglietta), inizialmente lesbica e pronta al grande passo, decide però, delusa dall’abbandono sull’altare, di tentare la strada maschile, rimanendo parimenti cornuta. La seconda, Marta (Vittoria Puccini), libraia praticamente solo per passione (rifiuta i clienti che vengono a chiedere Le 50 sfumature), con i conti del negozio perennemente in rosso (alla fine del film non potete altro che pensare, alla romana, «E ce credo!»), romanticamente e banalmente sognatrice e distratta, è innamorata di Fabio (Vinicio Marchioni), un ladro di libretti d’opera sordomuto. Come la sorella anch’essa è incapace di stabilire una relazione duratura e cita come uomini della sua vita l’ambiguo e decadente Dorian Grey e il sedicenne problematico Holden Caulfield (del Giovane Holden di Salinger); con tutte le grandi figure maschili della letteratura, anche più recente, proprio queste due doveva scegliere Paolo Genovese? Spontaneo chiedersi se il regista e sceneggiatore (coadiuvato da Leonardo Pieraccioni) abbia letto i libri di cui parla. Ultima ma non per importanza Emma (Laura Adriani), diciottenne “matura” amante di un cinquantenne in crisi matrimoniale (Alessandro Gassman). Infine il padre, lo psicanalista Marco Giallini, interpellato continuamente dalle figlie, è sempre presente e capace di dare il consiglio giusto (ad esempio bellissimi i suggerimenti che darà a Marta per relazionarsi al meglio con la disabilità di Fabio), è “moderno”, sensibile e pronto ad accettare ogni scelta delle tre ragazze. Obbligherà però Gassman alla terapia, nel tentativo di allontanarlo da Emma e di ricostruire (a sua insaputa, giocando con le emozioni del paziente) il suo matrimonio in difficoltà, salvo poi scoprire che la donna di cui è innamorato e che pedina, è proprio la moglie di Gassman (Claudia Gerini). Tutte le storie si concluderanno ovviamente per il meglio (più o meno), con la ristabilita pace familiare. Sorvolando sull’eticità professionale di tale psicanalista, vorrei condividere alcune osservazioni: oltre alla paradossale concentrazione di problematicità relazionali delle figlie, desidero segnalare la cronica instabilità, fragilità emotiva e incertezza sessuale di queste quasi trentenni. Trentenni che sembrano appena ventenni, ancora alla prese con la definizione della propria identità sessuale ed emotiva. Questa è la raffigurazione dell’adulto nostrano? Non posso e non voglio crederlo! Interessante, ma qui si cadrebbe in un discorso molto più ampio, una frase di Sara che, parafrasando, suona così: «quando una cosa è rotta, si cambia!». Forse a molti sarà sfuggito ma questo è quello che i veri psicologi e psicoterapeuti chiamano “consumismo emotivo”. Io sono più dell’idea che quando qualcosa si rompe (anche le relazioni), prima di cambiarlo valga almeno la pena di provare ad aggiustarlo. In ogni caso non voglio tediare oltre i miei “venticinque lettori”. Il film suscita comunque sinceri sorrisi, rimane sempre una commedia assolutamente godibile, anche se a tratti appunto paradossale e con alcuni evitabili cliché. La trama è tortuosa (ma non in senso negativo), originale e inaspettata nel suo svilupparsi e, unica pecca, forse un po’ troppo lunga per una commedia romantica che cerca tuttavia disperatamente lo scatto verso la commedia d’autore, senza tuttavia riuscirci molto. Con ben due tentati suicidi (il primo simbolico attraverso il bungee jumping e il secondo reale) il film mantiene sempre una leggerezza a volte un po’ disarmante. Alcune interpretazioni meritano infine una menzione particolare: il sordomuto Fabio, toccante, e la seria, matura ma stanca e malinconica Claudia Gerini. 

Voto: 6 e 1/2