venerdì 26 aprile 2013

TED


Titolo originale: Ted
Paese: U.S.A.
Anno: 2012
Regia: Seth McFarlane
Genere: Commedia
Durata: 106 min.
Cast: Mark Wahlberg, Mila Kunis, Seth McFarlane, Giovanni Ribisi, Ryan Reynolds, Norah Jones

Ted è il primo lungometraggio di Seth McFarlane, creatore di I Griffin, The Cleveland Show e American Dad.
Il film racconta la storia di John (Mark Wahlberg), trentacinquenne svogliato e fannullone che lavora in un autonoleggio. Vive con la sua ragazza, Lori (Mila Kunis), e il suo orsacchiotto, Ted (doppiato da McFarlane), che miracolosamente, ventisette anni prima, aveva cominciato a parlare.
Il rapporto di John e Lori comincia ad incrinarsi quando John si dimostra incapace di emanciparsi dall'influenza, a volte piuttosto nefasta, del suo migliore amico peloso.
La trama, così come raccontata, è chiaramente piuttosto disorientante: ma la magia del cinema consiste proprio nel farti ritenere verosimili eventi non semplicemente improbabili, ma assolutamente impossibili. E così, la visione di Ted trascorre senza che la presenza di un orsacchiotto parlante risulti in qualche modo assurda o  fuori luogo. Insomma, ci si abitua senza troppo problemi.
L'orsacchiotto rappresenta chiaramente le difficoltà che incontra un uomo nell'assumersi responsabilità e nell'impegnarsi. E' l'incapacità di maturare, lasciandosi indietro le imprudenze e le sconsideratezze dell'adolescenza. Ovviamente Ted racconta tutto ciò in maniera piuttosto demenziale attraverso il largo uso di battute politically incorrect, secondo lo stile oramai noto di McFarlane. 
Il film scorre leggero, sebbene in modo piuttosto prevedibile. Ahimè, pensavo che avrei riso di più. Nel complesso, però, Ted costituisce sicuramente un esperimento abbastanza riuscito di come la comicità de I Griffin possa essere portata al cinema per raccontare pregi e difetti (soprattutto difetti) dell'animo umano.

Voto: 6

giovedì 25 aprile 2013

Colonne sonore: Un giorno devi andare di Giorgio Diritti - SULLE ACQUE DEL RIO NEGRO



Seguono il ritmo del fiume le musiche di Marco Biscarini e Daniele Furlati, compositori della colonna sonora di Un giorno devi andare, ultimo film di Giorgio Diritti.
Sono infatti le acque del Rio Negro ad accompagnare il viaggio di Augusta, ragazza italiana che, dopo la perdita del figlio e l'abbandono del marito, decide di recarsi in Brasile per trovare un senso e una ragione alla proprie sofferenze personali.
Così, di fronte alle immagini di un fiume che come un filo lega le varie tappe del cammino della protagonista, la colonna sonora del film regola il proprio ritmo sul lento scorrere del grande fiume amazzone, nutrendo di nuovi significati ed emozioni gli sconfinati paesaggi del Brasile e le espressioni tristi, affaticate e al tempo stesso dolci dei compagni di viaggio di Augusta.
Inizialmente è il brano musicale dal titolo omonimo al film ad accompagnare col tappeto ritmico dei violini e il triste canto del violoncello le increspature del fiume.
Poi, col brano musicale “Augusta”, sarà la volta del suono di un piano in lontananza, quasi come un carillon, e di un'impercettibile voce femminile in sottofondo che seguiranno il lento incedere del battello su cui la protagonista viaggia. E come il battello lascia dietro di sé una scia che taglia in due il fiume, così nell'anima di Augusta ci sarà, in quel momento, uno spartiacque: inizialmente la ragazza, sorda al richiamo di qualsiasi Dio e refrattaria alla condotta missionaria, si sentirà fuori posto al seguito di suor Franca; poi, sceglierà di metter da parte le questioni trascendentali e di “esser terra”, trovando una propria dimensione nella comunità di Manaus.
Sulle note del brano musicale “Itinerante”, Augusta si sentirà finalmente pronta per partire alla volta di Manaus. Prima c'è il tema cantato da un'armonica a bocca e da un piano quasi fossero un unico strumento, poi entra il pizzicato di un violino. Gli strumenti faticano a prendere un ritmo preciso quasi a ricordare l'incertezza di una nave che sta per salpare. Così, ancora una volta, la musica si adegua al ritmo del fiume.
Infine, a Manaus, Augusta sembra aver trovato la propria serenità, ma dovrà affrontare ancora una volta un triste evento. Sulle note del brano “Il Diluvio”, una pioggia incessante, accompagnata dal ritmo regolare di uno strumento a percussione che ne ricorda il ritmo, comincerà a sgretolare il villaggio di Manaus e la comunità di cui la protagonista si è sentita parte.
Questo è quanto ci regala la colonna sonora di Marco Biscarini e Daniele Furlati. Entrambi nati a Bologna, studiano con Ennio Morricone dal 1990 al 1995 all’Accademia Chigiana di Siena dove conseguono il diploma di onore e il diploma di merito in musica per film. Con la colonna sonora del  film Il Vento fa il suo giro, sempre del regista Giorgio Diritti, vincono il “Festival Nazionale Cinema & Musica di Lagonegro”  mentre con la colonna sonora del film L’uomo che verrà vincono il Premio miglior colonna sonora al Bari International Film Festival e ottengono la candidatura al David di Donatello 2010 come migliore colonna sonora.
Nel 2013 con le musiche del film Un giorno devi andare sono in concorso al Sundance Film Festival USA.
Con quest’ultima colonna sonora, i due compositori, al loro terzo film con Diritti, sanciscono col regista un sodalizio artistico ben riuscito: le loro musiche, infatti, in un film dove la sceneggiatura è scarna, costituiscono la colonna portante della pellicola andando a colmare i vuoti volutamente creati dalla sceneggiatura e arrivano là dove le parole non riescono, trasmettendo emozioni che difficilmente le parole sanno esprimere.  

Marianna Alberti

Recensione di Un giorno devi andare

lunedì 22 aprile 2013

JACK NICHOLSON DAY - THE DEPARTED


Titolo originale: The Departed
Paese: U.S.A.
Anno: 2006
Regia: Martin Scorsese
Genere: Gangster, Thriller, Drammatico
Durata: 149 min.
Cast: L. DiCaprio, M. Damon, J. Nicholson, A. Baldwin, M. Wahlberg, M. Sheen, V. Farmiga
Soggetto: Siu Fai Mak, Felix Chong
Sceneggiatura: William Monahan


Nel 2006 Martin Scorsese dirige il primo, e fino ad ora, unico film ad avergli regalato il Premio Oscar per la regia: The Departed, remake di un film di Hong Kong del 2002, Infernal Affairs. L'opera trionfa agli Academy Awards del 2007, vincendo anche il premio per il miglior film, per il miglior montaggio e per la migliore sceneggiatura non originale: tutti premi meritatissimi e forse ne avrebbe meritati anche di più. Nemmeno una candidatura, infatti, ottengono Matt Damon, Leonardo Di Caprio e Jack Nicholson, nonostante le eccellenti interpretazioni, ma solo Mark Wahlberg come migliore attore non protagonista.

Frank Costello (J. Nicholson) è il capo della malavita irlandese di Boston, specializzata nello spaccio di cocaina.
La polizia tenta da anni di incastrarlo, senza mai ottenere risultati significativi.
Colin Sullivan (M. Damon) è un agente di polizia che lavora per Costello, mentre William Costigan (L. DiCaprio) è un infiltrato della polizia tra gli scagnozzi del boss irlandese. Ognuno dei due cercherà di scoprire l'identità dell'altro, contendendosi allo stesso tempo l'amore di una bella psichiatra (V. Farmiga), fin quando i nodi vengono al pettine.

Martin Scorsese ha costruito un film impeccabile, senza lasciare nessun dettaglio al caso.
La storia sin dal principio è attraente e accattivante; l'azione è veloce e ben ritmata, scandita nei momenti cruciali dalla colonna sonora scritta da Howard Shore (Il Signore degli Anelli) dalle caratteristiche sonorità irlandesi.
Il film è sceneggiato da William Monahan, autore di Nessuna verità di Ridley Scott e regista di London Boulevard
L'interpretazione di Jack Nicholson è una delle migliori degli ultimi anni. Costello è un criminale disturbato,violento, spietato, misogino, dotato di una comicità volgare e inquietante. Ama atteggiarsi come padre protettore nei confronti di Colin, prima, e nei confronti di William, poi, ma la verità è che usa entrambi per i suoi scopi e non esiterebbe ad ucciderli. La sua filosofia è riassunta in queste poche parole pronunciate all'inizio del film:
"Io non voglio essere il prodotto del mio ambiente... Voglio che il mio ambiente sia il mio prodotto".
Nel complesso, possiamo considerare The Departed il miglior film di Scorsese degli anni Duemila, perché sono gli ambienti socialmente putrefatti che il regista italo-americano riesce a rappresentare meglio. 

Voto: 8




Per festeggiare il compleanno di Jack Nicholson, che proprio oggi 22 aprile compie 76 anni, è stato organizzato il Jack Nicholson Day. 
Ecco l'elenco dei blog che partecipano all'evento:

WhiteRussian

Potete partecipare anche voi, parlando di Jack nel vostro blog.
AUGURI, JACK!

venerdì 19 aprile 2013

AMERICAN LIFE


Recensione di Alessandra Muroni
Potete leggerla anche su Director's Cult

Titolo originale: Away we go
Paese: U.S.A.
Anno: 2009
Regia: Sam Mendes
Genere: commedia romantica
Durata: 98 min. 
Sceneggiatura: Dave Eggers, Vendela Vida.

Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph) sono una coppia che aspettano il primo bambino, una femmina. A pochi mesi dalla nascita della bimba, Burt e Verona scoprono che i genitori di lui (Jeff Daniels e Catherine O'Hara) si trasferiranno in Belgio per due anni, incuranti di essere gli unici nonni e di poter fornire loro un possibile aiuto.
Dopo aver riflettuto sulla loro vita e sulla loro situazione di precarietà, decidono di percorrere l’America per trovare il posto migliore per far crescere la loro creatura.
Phoenix, Tucson, Montreal, Miami sono alcune delle mete prefissate: per Burt e Verona sarà l’occasione per riflettere sulla condizione di essere genitori, si confronteranno con altre coppie, volgendo uno sguardo verso il futuro ancora da costruire in funzione della felicità per la loro piccola.
Sam Mendes decide di “rimanere nell’ombra” con un piccolo film indipendente dal sapore on the road anni Settanta.
L’inglese che osò massacrare la famiglia modello made in USA con American Beauty nel 1999 (ma il suo operato fu molto apprezzato con una pioggia di Oscar) e con Revolutionary Road, torna con questo piccolo gioiellino e decide per una volta di essere più ottimista nei confronti degli Yankees.
E lo fa con una coppia non borghese (evidentemente per il cineasta il “seme del male” risiede proprio nella borghesia in sé), ma bohémien e un po’ svagata: lui lavora il legno perché vuole essere un perfetto falegname per la figlia, lei si occupa di disegni di anatomia e soprattutto non sono sposati.
A differenza di Frank e April Wheleer di Revolutionary Road, Burt e Verona hanno un rapporto equilibrato e tranquillo, anche se a modo loro. Che il matrimonio sia veramente la tomba dell’amore? Verona ama Burt, ma lei non ha nessuna intenzione di sposarsi, nonostante i suoi genitori abbiano vissuto una vita serena e priva di crisi. Così la “coppia di fatto” con figlia in arrivo rappresenta il nucleo familiare ideale. Instabili nella vita, ma sicuri sui propri sentimenti. Che Sam Mendes si sia ammorbidito? Per niente e riversa tutto il suo cinismo contro gli “altri”, costringendo Burt e Verona ad assistere alla crisi della famiglia americana lungo gli States.
Mendes se la prende con i genitori di Burt, così egoisti da non volere neanche conoscere la nipotina in arrivo, contro l’ex collega di Verona (una spassosissima Allison Janney) madre terribile che non perde occasione di umiliare i figli, massacra la new age e i metodi educativi alternativi rappresentando una mistica cugina di Burt (Maggie Gyllenhaal sempre brava anche in piccoli ruoli), con la fobia dei passeggini e il vizio di allattare al seno i figli degli altri.
Non è neanche tanto tenero nei confronti degli amici canadesi di Verona, coppia apparentemente normale, intellettuale e radical chic, ma che nasconde una profonda crisi perché non riesce a procreare, e sopperisce a tale problematica adottando bambini provenienti da tutto il mondo.
Così come scoprono che l’amore non è eterno quando il fratello di Burt viene abbandonato dalla moglie nell’assolata Miami. Mendes comunque offre una speranza e tale opportunità è rappresentata proprio da Burt e Verona, così diversi nello stile di vita, tanto da mollare le poche certezze e partire per una vita migliore.
Burt cerca di conformarsi alla società facendo colloqui di lavoro, ma in lui vi è sempre il germe del malessere al conformismo. Alla fine un tocco di tradizionalità colpirà anche loro, ma saranno sempre dei ribelli nell’anima.
American Life è una gemma preziosa, con dialoghi e situazioni divertenti, un film indipendente come non si vedeva da anni, il tutto impreziosito dal mestiere di Sam Mendes, così attento alla fotografia, alla musica grazie ad una splendida colonna sonora curata principalmente da Alexi Murdoch, che accompagna i futuri genitori alla ricerca della felicità.
Ottimi gli interpreti John Krasinski e Maya Rudolph, forse un po’ sconosciuti al grande pubblico, ma perfetti per il ruolo, ben diretti dal regista, da sempre un ottimo direttore degli interpreti. American Life è uno spaccato dell’America del Ventunesimo secolo, leggermente amaro, ma reso più dolce da un cucchiaio di zucchero.

Voto: 8

sabato 13 aprile 2013

Li teniamo d'occhio... EMMA WATSON


I più la conoscono come la Hermione Granger della saga di Harry Potter, ma Emma Watson si sta velocemente emancipando dal ruolo che l'ha resa tanto famosa.
Nata nel 1990 a Parigi da madre francese e padre inglese, a soli otto anni Emma viene scelta per interpretare la migliore amica del maghetto nella trasposizione cinematografica del primo romanzo di J.K. Rowling.
Dopo dodici anni e otto film, e con un reddito nel frattempo salito a oltre 10 milioni di dollari, la Watson ha curato molto la sua immagine, tagliando radicalmente i capelli, dedicando molto tempo all'attività di modella e scegliendo film con attenzione, ottenendo un successo maggiore rispetto ai suoi colleghi potteriani Daniel Radcliffe (Harry Potter) e Rupert Grint (Ron Weasley). 
Dopo una piccola parte in Marilyn di Simon Curtis, Emma è tra i protagonisti di Noi siamo infinito, pellicola diretta da Stephen Chbosky. Il film ha ricevuto un buon successo di pubblico e critica ed è già un cult.  
Prossimamente la vedremo in This is the end di Seth Rogen e Evan Goldberg, in uscita il prossimo giugno, film comico ambientato a Los Angeles dopo una serie di cataclismi naturali, in cui ogni attore interpreta una versione fittizia di se stessi (vedi qui il trailer). 
Emma sarà, inoltre, nella nuova opera di Sofia Coppola, The bling ring, ispirata alla vera storia di un gruppo di giovani donne che nel 2009 rubò milioni di dollari in gioielli a diverse celebrità. L'8 marzo scorso è uscito l'acclamatissimo primo teaser trailer, ma al momento non si conosce ancora la data dell'uscita del film in Italia, ma è assai probabile che venga presentato al Festival di Cannes. 
Attualmente Emma ha appena finito di girare Noah, diretta da Darren Aronofsky, pellicola dedicata alla figura del grande patriarca biblico che costruì l'Arca per salvare l'umanità. Nei panni di Noè troveremo Russel Crowe, mentre Emma Watson sarà Ila, sua figlia adottiva, innamorata di Shem, figlio maggiore di Noè, interpretato da Douglas Booth (qui puoi vedere le foto tratte dal set). 

martedì 9 aprile 2013

In arrivo il JACK NICHOLSON DAY (22.04.13)

Il prossimo 22 aprile - giorno in cui Jack Nicholson compirà 76 anni - numerosi blog renderanno omaggio al grandissimo attore americano.
Se volete partecipare, potete scrivere a hovogliadicinema@gmail.com.
Ecco il video pubblicità dell'evento, realizzato da Pio:

domenica 7 aprile 2013

MANGIA PREGA AMA



Titolo originale: Eat, Pray, Love
Paese: U.S.A.
Anno: 2010
Regia: Ryan Murphy
Genere: Commedia
Durata: 133 min. 
Cast: Julia Roberts, Javier Bardem, Richard Jenkins, James Franco, Billy Crudup
Soggetto: Elizabeth Gilbert
Sceneggiatura: Ryan Murphy, Jennifer Salt

Elizabeth Gilbert (Julia Roberts) è una scrittrice di successo, ha un marito che ama (Billy Crudup), una splendida casa a New York e una vita sociale intensa. 
Durante un viaggio di lavoro a Bali, uno sciamano le predice che avrà un matrimonio corto e uno lungo e tornerà di nuovo in questo paradiso. 
L’insoddisfazione si impossessa di lei inesorabilmente e Liz decide di troncare il matrimonio, finendo poi invischiarsi in una storia d’amore senza futuro con un giovane attore (James Franco). La fine di questa relazione e la profonda crisi in se stessa la porta a compiere un viaggio di un anno, vivendo quattro mesi a Roma, quattro mesi in India e quattro mesi a Bali.
Questo pellegrinaggio la porterà a scoprire i piaceri del cibo, la contemplazione nella preghiera e soprattutto imparerà ad amare.
Mangia prega ama segna il ritorno da protagonista di Julia Roberts, l’ex Pretty Woman divenuta una splendida quarantenne. Peccato che lo faccia con il film sbagliato. 
La pellicola diretta da Ryan Murphy è una serie interminabile di luoghi comuni, a cominciare dalla parte americana che dovrebbe spiegare il perché di tale male di vivere è troppo lunga e superflua con momenti imbarazzanti (come quando l’ex marito le canta “Vigliacca! Vigliacca”).
Si poteva supplire con una serie di flashback, che forse avrebbero reso più interessante le motivazioni di questo viaggio.
I cliché si sprecano a cominciare dal primo viaggio. Liz va nella capitale italiana per scoprire l’arte del mangiare e naturalmente trova subito un’amica americana e tanti simpatici indigeni del luogo (tra cui Luca Argentero) che le descrivono l’arte del dolce far niente degli italiani (e che altro se no?!?) che passano le giornate a mangiare e a fare l’amore.
Infatti Roma è la città del sesso, dove ci sono i romani che corrono dietro le sottane delle belle figliole (avvilente, ci mancava solo il classico epiteto “abbella”… ) e delle abbuffate, ovviamente, e la quarantenne americana in quattro mesi di permanenza non si degna minimamente di visitare le bellezze artistiche che hanno reso famosa Roma in tutto il mondo, d’altronde è andata in Italia solo per mangiare, no?
Qualche momento divertente c’è come nei significati dei gesti, perché in effetti è vero, gli italiani comunicano molto con le mani oltre che con le parole, la scena in cui non entra nei pantaloni perché è ingrassata suscita qualche sorriso; così come è interessante la sequenza in cui Liz mangia un piatto di asparagi leggendo il giornale rilassandosi, forse una delle poche visioni del popolo italico meno offensiva.
Comunque ciò non cancella l’onta di essere rappresentati come dei nullafacenti rincretiniti. 
Il quadretto italiano termina con una cena familiare che dovrebbe richiamare il giorno del ringraziamento e si conclude con un “volemose bene” collettivo.
Dopo i peccati di gola arriva il momento dell’espiazione e della preghiera con un viaggio in India, la parte più noiosa di tutto il film.
Liz cerca il conforto da una santona che in realtà se ne sta tranquilla e beata a New York e s’imbatte in un americano che sta facendo un percorso di pentimento dopo aver quasi investito il figlio. Un grande Richard Jenkins mal utilizzato con tanto di scena madre patetica, veramente un peccato usare così un attore così talentuoso. 
Liz non si fa mancare neanche la ragazzina indiana che sogna di studiare psicologia e invece finisce per sposare un ragazzo che non ama e la scena del matrimonio che in teoria dovrebbe mostrare la cultura del luogo, avviene in modo grossolano e superficiale.
Questa parte è la più sonnolenta di tutto il film e a parte qualche flashback della sua vita da “donna borghese”, non si arriva ad un vero e proprio scavo della psicologia della protagonista, né tanto meno ai suoi tormenti interiori. 
Lasciata l’India si va verso Bali e per lo spettatore, ormai stremato da cotanto tedio, arriva una piccola boccata di aria fresca. La visione dell’Indonesia è così bella da far distrarre lo spettatore dalla superficialità dell’intera operazione con meravigliosi paesaggi utili anche per coprire le falle di una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti.
La parte “ama” alla fine risulta essere la migliore, anche perché si tenta dopo quasi due ore di arrivare ai tormenti che angosciano Liz che le impediscono di provare dei sentimenti autentici. Grazie anche al fascinoso Felipe interpretato da Javier Bardem (che qui interpreta un brasiliano, ma perché?!?) che aggiunge un po’ di pepe a questa grossa zuppa insipida.
Ovviamente non manca anche qui l’americano di turno che le fa la corte (per la serie paese che vai, americano che trovi) e il momento di patetismo con la charity collettiva realizzata grazie ai suoi amichetti conosciuti durante il suo viaggio introspettivo.
Mangia, prega, ama è un film che si lascia vedere solo grazie alla grande Julia Roberts, che riesce a sopportare sulle sue spalle la pesantezza di un film lento.
Roberts, Jenkins e Bardem sono i migliori, un po’ di perplessità nell’interpretazione di James Franco, attore che vorrebbe fare lo sguardo da aria  vissuta mentre invece sembra che soffra di congiuntivite. 
La pellicola diretta dal regista televisivo Ryan Murphy (Nip/Tuck) alla fine è un crogiuolo di luoghi comuni, buttando alle ortiche i piaceri forti che hanno portato la vera Liz Gilbert ha raccontare la sua avventura, finendo per creare una grande e interminabile cartolina che dura più di due ore.

Voto: 4,5

Alessandra Muroni
Puoi leggere la recensione anche su Director's Cult

sabato 6 aprile 2013

Coming Loon: C'ERA UNA VOLTA AD ARCORE

Il Democritico

I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN


Titolo originale: Brokeback Mountain
Paese: U.S.A.
Anno: 2005
Regia: Ang Lee
Genere: Drammatico
Durata: 134 min. 
Cast: Heath Ledger (Ennis), Jake Gyllenhaal (Jack), Michelle Williams (Alma), Anne Hathaway (Laureen), Randy Quaid (Aguirre), Linda Cardellini (Cassie), Kate Mara (Alma Jr.)
Soggetto: Annie Proulx (racconto)
Sceneggiatura: Larry McMurtry, Diana Ossana

Il 4 aprile scorso Heath Ledger avrebbe compiuto 34 anni. Così, ho scelto di rivedere uno dei suoi film più famosi, I segreti di Brokeback mountain, perché, se è vero che molti ricordano Heath Ledger come Joker in Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, io lo ricordo soprattutto come Ennis Del Mar nel film di Ang Lee.
Heath se ne è andato un po' come James Dean, quando il suo talento era appena sbocciato.
Jack Twist (Jake Gyllenhaal) e Ennis Del Mar (Ledger) trascorrono insieme l'estate del 1963 sui pascoli di Brokeback Mountain, Wyoming, come mandriani del gregge del signor Aguirre. Per tutta la vita torneranno ad incontrarsi su quella montagna.
Il film di Ang Lee è una bellissima storia d'amore tra due persone molto diverse, Jack, vivace e sognatore, e Ennis, introverso e scontroso, che si svolge in un ambiente rurale, ostile a tutto ciò che si distingue dalla morale corrente. Eppure, Ennis e Jack riescono a incontrarsi e comprendersi per vent'anni, nonostante nel frattempo tutto il resto della loro vita vada in frantumi.
Brokeback Mountain è il luogo dove tutto nasce e tutto si consuma. 
E' un posto isolato, lontano dagli sguardi indiscreti, perché la storia di Jack ed Ennis non riesce ad essere compresa all'esterno. La cornice è intatta e immacolata come integro, nonostante le difficoltà, è l'amore tra i due uomini, mentre al di fuori il mondo si nutre di pregiudizi ed ipocrisie.
Grazie alle interpretazioni di Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, all'epoca entrambi candidati al premio Oscar, i due protagonisti colpiscono al cuore. Soffriamo con i personaggi, patiamo con loro. Da un lato, comprendiamo il senso pratico di Ennis, che a fatica riesce ad arrivare a fine mese e che ha visto con i propri occhi come vengono trattati due uomini che vivono insieme. Che, però, rimane solo perché non riesce a dimenticare quell'amore sorto a Brokeback Mountain per il quale può lasciarsi andare solo un paio di volte all'anno. Così come comprendiamo il patimento di Jack, sicuro di sé e desideroso di vivere il suo amore con maggiore disinvoltura, ma che si rassegna ad un matrimonio con una donna che non ama, mentre sogna una vita diversa con Ennis. Sarebbero sufficienti gli occhi grandi e profondi di Jack e il parlare timido e strascicato di Ennis a costringerci a rimanere incollati alla poltrona, ma la verità è che i due innamorati si fondono perfettamente l'uno nell'altro, divenendo una cosa sola: è questa una magia che avviene in pochissimi film. 

Voto: 10 e lode

lunedì 1 aprile 2013

UN GIORNO DEVI ANDARE


Titolo originale: Un giorno devi andare
Paese: Italia, Francia
Anno: 2013
Regia: Giorgio Diritti
Genere: Drammatico
Durata: 110 min. 
Cast: Jasmine Trinca (Augusta), Pia Engleberth (Suor Franca), Anne Alvaro (Anna), Sonia Gessner (Antonia), Amanda Fonseca Galvao (Janaina), Paulo De Souza (Joao)
Soggetto: Giorgio Diritti, Fredo Valla
Sceneggiatura: Giorgio Diritti

L’ultimo film scritto e diretto da Giorgio Diritti, Un giorno devi andare, è un viaggio alla scoperta di un mondo molto diverso da quello cui siamo abituati. Il tentativo di Diritti di proporre un film “altro” rispetto al desolante panorama del cinema italiano è, ancora una volta, lodevole dopo i suoi precedenti lavori, Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà.
Jasmine Trinca interpreta Augusta, una trentenne, che dopo la separazione dal marito, parte per aiutare un’amica della madre, suor Franca (Pia Engleberth), nelle missioni nei villaggi indios situati lungo il Rio delle Amazzoni.
La metafora del viaggio viene utilizzata da Diritti non semplicemente come fuga dal dolore, bensì come ricerca del significato della vita e della morte in un ambiente estremamente consapevole delle difficoltà che la natura, “madre matrigna”, pone.
La storia si svolge dapprima in alcuni villaggi lungo il Rio delle Amazzoni, dove viene mostrata la vita degli indios, fatta soprattutto di privazioni, ma anche di un’autenticità nel rapporto con la natura e con gli altri esseri umani sconosciuta ad Augusta. 
Nella seconda parte, veniamo introdotti nella favela di Manaus, dove la protagonista riesce ad inserirsi nella comunità locale, nonostante le differenze sociali, educative ed economiche, trovando finalmente una propria identità lontana dagli schemi precostituiti del mondo occidentale.
Nonostante le innumerevoli incertezze della nostra esistenza, Un giorno devi andare suggerisce con decisione l’importanza di alcuni valori, che vanno al di là di un singolo credo religioso, quali l’affettività, il rispetto per la natura, l’importanza della vita comunitaria. Il titolo dell'opera sembra esprimere quel sentimento che spesso l'essere umano prova, quando percepisce di dover cambiare significativamente la propria vita. Per alcuni, è la chiamata di Dio, per altri la scoperta che la nostra vita, comunque agiata, non è in grado di donarci la serenità.
Il film rappresenta un equo bilanciamento tra indagine umana e indagine sociale; se, da un lato, tale aspetto costituisce un limite del lavoro di Diritti che non va a fondo né nella prima che nella seconda direzione, dall’altro la scelta dell’autore non poteva essere diversa, essendo ognuno di noi un singolo individuo inserito all’interno di una comunità, dalla quale è continuamente influenzato e che continuamente influenza.

Voto: 7

Se ti è piaciuto guarda anche: I diari della motocicletta di Walter Salles, The new world di Terrence Malick