giovedì 4 ottobre 2018

Siamo tutti Don Chisciotte


L'ultimo film di Terry Gilliam, "L'uomo che uccise Don Chisciotte", è un delirante viaggio alla scoperta di sé in cui la domanda che viene posta allo spettatore è la seguente: siamo tutti Don Chisciotte?  La riflessione di Gilliam si focalizza sulla follia umana, usando come tramite l'espediente del cinema nel cinema: e quale espediente migliore visto che il cinema è da sempre un luogo di rappresentazione e finzione in cui ciascuno, con il proprio bagaglio di maschere, assume l'ulteriore maschera impostagli dal copione. D'altronde, per dirla con Erasmo da Rotterdam, "tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico".




Nella pellicola di Gilliam, Adam Driver interpreta Toby, un regista americano, geniale e annoiato, che gira uno spot in Spagna ispirato a Don Chisciotte. Per caso torna in contatto con gli abitanti di un piccolo paese che  molti anni addietro aveva scelto come protagonisti di una sua opera giovanile sul cavaliere errante, tra i quali Javier/Don Chisciotte (Jonathan Pryce) e Angelica/Dulcinea (Joana Ribeiro). Ne segue una serie di incredibili eventi, guardati con gli occhi di Toby, che mescolando realtà e fantasia arrivano all'imprevedibile epilogo finale.


Toby assume dapprima i panni del fedele scudiero Sancho Panza, che cerca di riportare alla verità della realtà terrena Javier/Don Chisciotte, ma man mano che il film va avanti ci rendiamo conto che il contesto in cui Toby abita non è meno folle del mondo immaginato da Don Chisciotte. Mentre il ciabattino Javier combatte letteralmente i mulini a vento, scambiandoli per dei pericolosi giganti, Toby si crede un regista geniale che, dopo aver deluso le proprie grandi aspirazioni, nella vita ha girato solo spot e nessuno intorno a lui osa mettere in discussione questa "certezza". Ma come lui c'è Angelica, che dopo aver interpretato a sedici anni la parte di Dulcinea nel film di Toby, ha creduto di poter diventare una grande attrice; e ancora, il capo di Toby, che pur di non credere ai tradimenti della moglie, incolpa di furto un gitano. E così tutti i personaggi, come la società intera, che tratta come pericolosi criminali e terroristi dei nomadi accampati in un paesino diroccato e abbandonato, che senza di loro sarebbe morto da tempo. In tutto ciò il messaggio emerge tra le righe, ma allo stesso tempo con chiarezza: tutti gli uomini vivono di illusioni. Finché sono giovani si nutrono di sogni e aspettative, che per i più non si realizzano. Per pochi fortunati, i sogni si realizzano, ma raramente in maniera che li soddisfi pienamente o comunque nella maniera in cui si aspettavano. Quando sono oramai vecchi, poi, gli uomini guardano al proprio passato in maniera indulgente per puro spirito di sopravvivenza, altrimenti il peso degli errori e dei rimpianti li schiaccerebbe.


Ecco, quindi, che siamo tutti allo stesso tempo Sancho Panza e Don Chisciotte, proprio come Toby,  sempre pronti a puntare il dito contro gli altri, deridendoli o criticandoli, ma allo stesso tempo incapaci di riconoscere la nostra pazzia e i nostri limiti. La dimensione personale della follia si riversa, poi, nella società intera e nelle stesse istituzioni che la governano, incapaci di comprendere le proprie necessità, ma preda degli impulsi irrazionali del momento. 
Ma tutto ciò è un bene o un male? Si può vivere di sola ragione? Questo Gilliam non lo dice e probabilmente non c'è una risposta uguale per tutti: ogni spettatore risponde da sé e per sé. Forse, però, il suggerimento è quello di non prendersi mai troppo sul serio e di ridimensionare la propria "superiorità" di fronte agli altri: l'unica certezza umana, infatti, è che siamo tutti sulla stessa barca o, per dirla con Don Chisciotte, combattiamo tutti contro gli stessi mulini a vento.

Nessun commento:

Posta un commento